Prodi: «Senza la Tav siamo fuori dalla Ue» I costruttori: Anas, a rischio 85mila posti

Il presidente del Consiglio riapre il tavolo politico sulla Torino-Lione con i ministri Di Pietro, Bianchi, Bersani e Pecoraro Scanio. Presenti anche i vertici di Fs e Rfi

Gian Maria De Francesco

da Roma

«Queste infrastrutture si devono fare anche per onorare gli impegni presi a livello internazionale ed evitare che l’Italia resti fuori dai corridoi europei». Ieri il presidente del Consiglio, Romano Prodi, ha riaperto con queste parole il tavolo politico di Palazzo Chigi per affrontare il nodo Tav in Val di Susa. «Per evitare il rischio di isolamento del nostro Paese - ha aggiunto il premier - è indispensabile l’interconnessione ferroviaria».
Insomma, pur chiedendo spirito di cooperazione agli enti locali piemontesi rappresentati dal presidente della Regione Piemonte, Mercedes Bresso, dal sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, e dal presidente della Comunità montana Bassa Val di Susa, Antonio Ferrentino, il presidente del Consiglio, ha sottolineato che «bisogna prendere una decisione altrimenti si arriva alla paralisi». In pratica, il governo intende seguire la stessa linea della concertazione: si ascoltano le ragioni di tutti, ma alla fine decide sempre Palazzo Chigi. E l’orientamento prevalente emerso dopo la riunione di ieri, durata circa tre ore, è quello che conduce alla realizzazione dell’opera, pur con mille distinguo per non irritare troppo l’elettorato «No-Tav». Magari allungando un po’ i tempi di realizzazione per far decantare tutte le polemiche.
D’altronde, ieri l’Ance (associazione nazionale dei costruttori edili) ha rilanciato l’allarme sulle opere pubbliche. Se all’Anas non saranno assegnati 1,1 miliardi di euro per completare i cantieri e i 3,5 miliardi programmati per il 2007, spiega l’Ance, sono a rischio 85mila posti di lavoro. Se a questi si aggiungono i tagli a Fs e Tav si rischia una caduta dell’8% delle attività del settore delle costruzioni con un contraccolpo sul Pil che si può quantificare nello 0,2-0,3 per cento. E per un governo che vuole rilanciare la crescita, dire «no» allo sviluppo significherebbe partire con il piede sbagliato.
Al vertice di ieri, il secondo dopo quello dello scorso dicembre tenuto dal precedente governo Berlusconi, hanno partecipato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Enrico Letta, i ministri delle Infrastrutture e dei Trasporti, Di Pietro e Bianchi, dell’Interno Amato, dello Sviluppo economico Bersani dell’Ambiente Pecoraro Scanio e il sottosegretario all’Economia Tononi. Presenti anche i vertici di Fs e Rfi rappresentati da Elio Catania e Mauro Moretti. Letta, che ha guidato la riunione, ha precisato che il governo intende rinunciare alle prerogative della Legge Obiettivo per le grandi opere e procedere a una nuova valutazione di impatto ambientale ordinaria e aprire poi una conferenza dei servizi. Insomma, la parola d’ordine è «riannodare le fila del dialogo» dalle università alle comunità locali.
Quello che a prima vista appare come una sorta di ecumenismo buonistico, in realtà è la lucida espressione di una precisa volontà di realizzare l’opera. «Il tracciato non è in discussione - ha precisato Letta - come non sarebbe in discussione la logica degli standard transeuropei». Il Corridoio 5 Lisbona-Kiev passerà quindi per l’Italia seguendo la direttrice Torino-Trieste. Come ha spiegato il governatore del Piemonte Bresso, «la Tav passerà in Val di Susa e non ci sarà né il corridoio di Ventimiglia né quello di Stoccarda». Il nodo rimane quello del tunnel di Venaus (teatro degli scontri dello scorso dicembre; ndr), ha ribadito aggiungendo che «il termine ipotizzato per l’avvio dei lavori è il 2010».
In sintesi, la politica è quella del paso doble concertativo-decisionista. E il ministro delle Infrastrutture Di Pietro ha tagliato corto. «Se quest’opera non si deve fare, lo si dica subito», ha detto rimandando alla conferenza dei servizi il dibattito. Il suo collega Bianchi ha sottolineato che si tratta di «una grande occasione per arrivare a una progettazione esemplare di una grande opera» addossando al precedente governo «forzature e sbagli sulle compatibilità sociali per cui bisogna azzerare tutto e ripartire». Bianchi si è inoltre dichiarato fermamente contrario a una politica degli indennizzi per compensare le popolazioni che ospiteranno il tracciato Tav.


Il prossimo appuntamento è il vertice italo-francese del 4 luglio a Lione dove Letta ha assicurato che sarà ribadita «la volontà italiana di stare dentro questo grande progetto, sapendo ovviamente che l’Italia ha una sua autonomia di decisioni e di tempi». Ma la Tav non era una bandiera del centrosinistra rilanciata dal governo Berlusconi e criticata dall’attuale maggioranza?

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