Prodi spegne le luci tra i fischi

Contestato fuori dalla Reggia da un gruppo di cassintegrati: «Io non c’entro, è un problema preesistente...»

nostro inviato a Caserta

A un certo punto Romano Prodi ha tolto il freno. Non era quello delle riforme: si stava in discesa, lungo lo scalone principale dell’ala della Reggia di Caserta dove aveva appena finito di tenere la propria conferenza stampa. Il premier, dapprima per scherzo, poi sempre più convinto, tale era la pressione di telecamere e questuanti, ha cominciato ad accelerare sui bassi gradini adatti ai cavalli dei Borboni. Ha costretto il drappello di scorta ad accelerare a sua volta, un passo crescente e ben tenuto, ritmico. La scala era lunga, i gradini bassi, l’effetto di quelli che non si vorrebbero mai vedere: non un passo di carica, purtroppo, ma piuttosto la frettolosa ritirata dalla sciatta due-giorni casertana.
Spenti i riflettori dei Tg, andato via il caravan serraglio che ha tenuto in piedi un evento a uso esclusivo del Messaggio, intanto ognuno dei leader aveva ripreso come prima - e più di prima - a seguire la propria strada. Più o meno incurante del documento che, a detta di Prodi, contiene le linee guida dell’azione di governo: ovvero, «segna la direzione della nostra strada». Un documento che il premier, anche se non vi è scritto da nessuna parte, ha segnalato come sottoscritto «all’unanimità». La «condivisione», il fatto che «nella sostanza e non nella forma siamo tutti d’accordo», è il risultato che Prodi ha voluto sbandierare nell’ultimo atto di uno «storico Consiglio dei ministri per la prima volta tenuto fuori dal Palazzo». La storia è un po’ diversa, visto che per parecchi mesi del ’44, tutti quelli dell’occupazione di Roma dai nazisti, il governo italiano si riunì proprio in Campania, a Salerno, sotto la presidenza del maresciallo Badoglio.
L’accostamento non deve essere piaciuto a Prodi, che ieri ha dovuto fare i conti con tutte le spine della sua corona. Partiti rissosi, difficoltà a imporre la leadership, contestazioni di piazza. Di fronte alla dépendance nella quale si è tenuto il summit governativo, per due giorni c’è stato un presidio di cassintegrati delle società Finmek-Ixfin. Hanno fischiato e protestato all’indirizzo di chiunque: quando è uscita la ministra Melandri è stato un boato assordante, con Pannella i fischi erano confusi a qualche applauso, Pecoraro Scanio si è beccato isolati improperi in casertano stretto. Il povero Vannino Chiti non è stato riconosciuto. «Non erano mica rivolti a me, i fischi... Mica devono prendersela con me...», si è schermito Prodi in conferenza stampa, ricordando che quegli operai «non sono in cassa integrazione da poco tempo e la loro vicenda è complessa e sconcertante». Il premier, comunque, fischi e contestazioni li ha messi nel conto. Si risalirà la china, pazienta, perché «ci vorranno mesi perché possa essere invertito il rapporto del governo con l’opinione pubblica». E mesi ci vorranno perché «i frutti della nostra politica possano venir fuori...».
Le misure della vecchia-nuova agenda governativa sono già note. Così com’è noto che ci sono stati dissapori su diversi punti. «Malumori non ci sono stati - ha negato Prodi -, discussioni sì. Ma i seminari sono fatti apposta per poter discutere». Così ieri, per non uscire a mani vuote, è stato risfoderato il piano di investimenti per il Sud già lanciato poco prima di Natale (c’era lo sciopero dei giornalisti e si è pensato di poterlo riciclare). Sulle liberalizzazioni, invece, Prodi ha chiarito di «assumersene tutte le responsabilità». Nuovo l’annuncio dell’«apertura del tavolo fra le parti sociali per la verifica e modernizzazioni dello Stato sociale»: è ciò che resta della riforma delle pensioni. D’altronde, ha spiegato il premier, «non è che si parte da zero, la riforma delle pensioni esiste già, è quella di Dini, e contiene anche gli strumenti per il proprio adeguamento». Importante non è il singolo problema, magari quello dello scalone, ma l’intero impianto, che «va affrontato assieme al tema complessivo del welfare».


Ultima postilla, a proposito della caccia al mandante dell'emendamento salva-sindaci infilato di soppiatto nella Finanziaria. Grazie al memorandum del Giornale, Prodi ha potuto prendere in giro Rutelli e qualche altro ministro, durante la cena dell'altra notte. Scava scava, vuoi vedere che, prima o poi...

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