Non uccidetemi, vi prego. Caro Direttore, cari Lettori, invoco la vostra «tolleranza». Lo so, lo so: le vicende della Nazionale sono state sviscerate sotto tutti gli aspetti possibili dai massimi competenti del gioco calcistico, dai giornalisti, dai politici, dai tifosi, per cui sembrerebbe che non ci fosse nient'altro da aggiungere; ma esistono dei motivi di fondo che nessuno ha affrontato (almeno che io sappia) e che purtroppo spetta proprio a me cercare di spiegare.
Per prima cosa la «logica». Ogni sistema culturale, in quanto creato dall'uomo, si basa su associazioni logiche che si sostengono a vicenda e che danno forma significativa alle istituzioni, ai modi di vita, ai valori, della società che vi si riferisce. Perché richiamo l'attenzione su principi così ovvi? Perché dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, in Europa, in Italia, si è ripetuto innumerevoli volte che le nazioni debbono morire; la costruzione dell'Unione Europea è stata realizzata infatti in funzione prima di tutto dell'abbattimento delle nazioni, delle patrie, togliendo i confini, creando uno Stato sovranazionale, costringendo i cittadini a rinunciare a poco a poco alla propria identità di nazione per far posto a un Parlamento e a un Governo più forte e superiore a quelli nazionali. Al tempo stesso si è predicato in forma ossessiva che l'Italia, l'Europa persegue la «pace», una pace che non è soltanto il contrario della guerra, ma un modo di essere e di vivere che coinvolge e plasma ogni comportamento con la non- aggressività, la fratellanza con tutti coloro che arrivano sul territorio e che non devono mai essere considerati né stranieri, né nemici.
Il linguaggio è stato anch'esso plasmato in funzione della non-aggressività e la legge del «politicamente corretto» costringe a reprimere qualsiasi impulso ostile anche verbale. Insomma: l'Europa ha abolito la lotta sotto ogni forma, e ha assunto, anche con i suoi simboli - il celeste da «figlie di Maria»e il cerchio concluso delle dodici stelle della bandiera - l'immagine della «femminilità» disponibile e aperta all'accoglienza, cancellando ogni traccia di virilità (di ogni Stato che vuole aderire all'Ue, si dice che vuole «entrare» in Europa).
Il gioco del calcio è con tutta evidenza un gioco di gruppo fondato su significati «virili» e di lotta «primaria». L’uso del piede con «evitazione» (fallo) della mano, ci porta simbolicamente a tempi lontanissimi di vita dell'umanità, nei quali il «gruppo» era esclusivamente maschile, e il gioco che imponeva di non usare la mano «rappresentava» la primitiva lotta fra maschi, quella per il possesso delle donne: il gol come penetrazione della porta. Per questo, perché permette di rivivere inconsapevolmente fasi primarie e fondative della Specie, ossia comuni a tutti i gruppi umani, il calcio entusiasma i maschi in ogni luogo come nessun altro sport. O meglio: il calcio non è uno sport. È la ripetizione di un rito di fondazione la cui storia è per i maschi «coestensiva alla vita».
Ma quali aspetti della fondazione primaria oggi possono essere riattivati in Europa? I maschi non hanno più alcun potere legittimo di appropriazione sulle donne. La virilità è svilita (tutti questi termini, che derivano dalla vis, sono diventati inutili) al punto che, anzi che vantarsene, bisogna vergognarsene. Il principio della lotta è stato abolito, sostituito dalla delega alle istituzioni di potere di qualsiasi pretesa, e dall'impegno del cittadino a non arrabbiarsi mai e a non reagire mai, in nessun caso, con la violenza a una violenza. L'Europa, insomma, è votata alla sconfitta (inclusa, checché se ne dica, quella economica). Il calcio, dunque, non è adatto all'Europa, è politicamente scorretto.
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