Punizione «divina» per i baby bulli: condannati ad assistere alla messa

Altro che mandarli a messa per «punizione»... E se invece - una volta tornati a casa - il padre li avesse riempiti di sberle? Le maniere «cattive», quando si ha la disgrazia di avere certi figli, sono più efficaci delle maniere «buone». Ma i giudici minorili (a differenza dei genitori) sono obbligati ad usare la mano leggera, nella speranza - spesso vana - di trasformare in bravi ragazzi anche i ragazzi che bravi non sono; anzi, sono dei baby criminali. Come nel caso dei due minori (entrambi appartenenti a famiglie benestanti) di Bassano del Grappa con l’«hobby» di depredare, picchiare e minacciare i loro coetanei.
L’episodio più grave - raccontava ieri in prima pagina Il Giornale di Vicenza - risale al 7 marzo scorso nella chiesa della Santissima Trinità quando la coppia di bulli (uno di 15 anni e l’altro di 16 anni) si era avvicinata ad alcuni ragazzi prendendone di mira uno. Gli aggressori rapinarono un quindicenne, perché "accusato" di frequentare la ragazza di uno del clan, depredandolo di 20 euro e dello skateboard, per la restituzione del quale pretesero 30 euro. La vittima raccontò tutto ai genitori che a loro volta avvisarono la polizia».
Di qui la denuncia, l’individuazione dei responsabili e il processo. Con tanto di sentenza choc: il tribunale dei minori di Mestre li ha condannati ad «attivarsi nel volontariato, ad andare a messa tutte le domeniche, ottenere ottimi voti a scuola oltre a scusarsi con le vittime». Nel contempo le due giovani teste calde saranno tenuti sotto controllo dagli psicologi dei servizi sociali del Comune di Bassano del Grappa. Il percorso dei giovani durerà un anno al termine del quale il giudice deciderà se considerare la vicenda chiusa o riprendere il percorso penale.
Un epilogo che piace poco ai bassanesi, a cominciare dal sindaco della città del Grappa, Stefano Cimatti: «Sono sempre stato favorevole a pene alternative - dice Cimatti all’Ansa - la coercizione è una cosa diversa. Certo, bisogna dialogare e cercare di portare alla ragione i giovani. Ma non credo, come mi ha detto l’Abate di Bassano mons. Renato Tomasi, che si possa imporre la fede come pena». Un concetto che l’arciprete riprende parlando con i giornalisti: «Nessun giudice o norma - afferma - può imporre l’obbligo di andare a messa e in ogni caso chi dovrebbe controllare la loro fede ? Non credo che i parroci possano farlo».
Clicatissimo anche il dibattito tra lettori sull’edizione web del quotidiano vicentino diretto da Ario Gervasutti. In pochi minuti il forum online si anima di tesi contrapposte: «Ok lavori sociali, ok volontariato, ok scuse ai malcapitati. Ma la messa? Che cosa c’entra la messa? Magari quei due ci vanno, fanno finta di sentire ed escono uguali come prima...»; «Una sentenza coraggiosa, da salutare con favore...

»; «Quella della messa francamente pare una intromissione in qualcosa che riguarda la sfera del privato. A questo punto, già che c'era, il giudice poteva obbligarli i ragazzi anche a confessarsi e fare la comunione».
La polemica non è finita. Andiamo in pace?

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