Un Pupi Avati cupo che dirige alla grande

Marzio va a trovare Samuele, dandogli un cd. Negli anni '70, avevano messo insieme il duo musicale dei Leggenda, ma il loro sogno infranto di andare a Sanremo aveva sciolto il gruppo

Un Pupi Avati cupo che dirige alla grande

Marzio (ottimo Gabriele Lavia) va a trovare Samuele (Lopez, pochi minuti, ma di qualità), dandogli un cd. Negli anni '70, avevano messo insieme il duo musicale dei Leggenda, ma il loro sogno infranto di andare a Sanremo aveva sciolto il gruppo. Complice anche una donna, Sandra, che Marzio aveva sposato 35 anni prima, finendo, però, per rovinare tutto. Ex che finisce per incontrare dopo anni, nelle fattezze di Edwige Fenech, bella sfida vinta da Avati (facendola anche ironicamente giocare con l'incapacità di farsi la doccia). Storia che riviviamo nel classico doppio sviluppo temporale, alternando passato e presente. Scopriamo così che Marzio (Lodo Guenzi, un loser mai convincente) aveva sposato Sandra (discreto il debutto di Camilla Ciraolo), conosciuta ai tempi della scuola. Solo che lei vuol fare l'indossatrice e lui è geloso marcio, spesso a causa del troppo whisky che beve senza freno. Sotto gli occhi di Samuele che è più concreto dell'amico e all'illusione della musica preferisce il posto in banca. Dopo Moretti e il 1956, con il suo Il Sol dell'Avvenire, ecco anche Pupi Avati guardare indietro nel tempo (non è certo una novità) per rituffarsi nella Bologna di allora. Una sorta di cinema geriatrico che è occasione per fare melanconici bilanci esistenziali, dove il presente, spesso, ne esce con le ossa rotte. Quello che dirige La quattordicesima domenica del tempo ordinario (anche se il personaggio di Lodo Guenzi continua a dire «nel tempo»), titolo curioso, ma che ha un significato per l'autore (si era sposato proprio in questa domenica dell'anno) è, forse, il Pupi Avati più cupo di sempre. Fin troppo dolente nel raccontare i due protagonisti, ai giorni d'oggi, acciaccati nell'animo e nell'età, ritrovatisi dopo 35 anni, tempo che ha trasformato i sogni in rimpianti melanconici. Avati condensa il meglio del suo cinema in questo film pessimista nell'animo, ma non nella sostanza.

In fondo, l'affetto che dona al personaggio di Sandra sembra invogliare a guardare avanti, nonostante il bilancio in negativo. E se è vero che «Le cose belle son volate via», come cantano continuamente (anche troppo) i Leggenda, per fortuna, il cinema di Avati è ancora ben vivo e presente.

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