Quando il bilancio ha la firma digitale

Un documento della Fondazione Pacioli per chiarire i dubbi

L’attività dei professionisti contabili, e dei ragionieri in particolare, ha subito nel tempo cambiamenti notevoli, come è facile comprendere. Ma certamente la tenuta delle scritture contabili delle imprese rappresenta tuttora uno dei compiti più specifici per la categoria. Ben si comprende quindi perché la Fondazione Pacioli, che dei ragionieri commercialisti è il centro studi, abbia dedicato il Quaderno che uscirà a breve proprio a questo argomento, e in particolare alla questione delle scritture in forma telematica. Una vicenda che arriva da lontano, come ci spiega il direttore della Fondazione, Andrea Trimarchi. «La possibilità di tenere scritture informatiche è stata legalizzata dieci anni fa - dice - mantenendo però l’obbligo di stamparne una versione cartacea a fine esercizio, da conservare per il decennio successivo. È facile immaginare quali inconvenienti ne derivassero, soprattutto per le grandi imprese, obbligate a detenere ingombranti archivi cartacei, destinati peraltro a non essere consultati mai. E a risolvere il problema non è bastata, nel Duemila, la nuova disciplina per autorizzare la detenzione del solo archivio informatico, in quanto l’efficacia era solo civilistica e non tributaria: impossibile, quindi, eliminare l’archivio cartaceo».
Solo nel gennaio 2004 il ministero delle Finanze ha emanato un decreto che, contenendo nuove regole per gli archivi informatici, li considera finalmente validi anche a fini tributari. Tutto risolto, dunque? «In realtà - spiega ancora Trimarchi - nessun professionista osa ancora applicare questa disciplina. E questo perché la normativa è complicata e di difficile interpretazione anche per gli addetti ai lavori. Le ragioni sono molteplici, a cominciare dalle diverse regole che si sono stratificate, per così dire, nel tempo: inoltre, la tecnologia in questi anni si è enormemente modificata ed evoluta, rendendo rapidamente superate molte indicazioni date in passato. Ecco perché la Fondazione ha ritenuto opportuno, in assenza di istruzioni ufficiali da parte delle autorità competenti, prendere in esame la normativa al fine di predisporre indicazioni chiare e univoche per la nostra categoria».
Nel suo studio, la Fondazione non ha mancato di sottolineare anche alcuni aspetti problematici della normativa, come la questione della firma elettronica, “sigillo” indispensabile per garantire la validità delle scritture informatiche, impedendone la successiva modifica. «Un problema che logicamente non esisteva al tempo dei registri tradizionali - dice Trimarchi - dove le operazioni venivano semplicemente riportate in ordine cronologico. Ma quando va apposta la firma elettronica? Periodicamente o una volta per tutte? E qual è il termine ultimo per farlo? A nostro avviso, andrebbe posta prima di presentare il bilancio ai sindaci, in modo che questi ultimi abbiano la certezza di lavorare su una scrittura efficace.

Su questa come su altre questioni abbiamo quindi formulato una serie di quesiti, che abbiamo inviato al ministero dell’Innovazione e a quello dell’Economia, nonché al Cnipa - il centro per l’informatica nella Pubblica amministrazione - e all’Agenzia delle Entrate. Intendiamo così dare un contributo a queste autorità per rendere più agevole l’utilizzo di questa normativa, che è innovativa ma ancora sottoutilizzata».

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