Quando le regole valgono solo per i nemici

Il fatto davvero sorprendente non è che At&t abbia ritirato la sua offerta su Telecom, ma che non esista in Italia un capitalismo in grado di far contare il cosiddetto «peso del quattrino» e lanciare un’Opa totalitaria su Telecom garantendo al tempo stesso italianità, sviluppo, rispetto del mercato. La vicenda Telecom ha il pregio di mettere sotto la luce dei riflettori ciò che è noto da tempo ma che ci si ostina a non voler vedere: cioè la penuria di grandi capitalisti che abbiano ancora il gusto del rischio e l’ipertrofica presenza della politica nelle scelte private degli imprenditori. Ma sono gli imprenditori che mancano o è l’invadenza della politica a scoraggiarli?
Tronchetti ci aveva provato; ha acquistato Telecom a debito, è vero, ma non meno di quanto l’hanno fatto altri prima di lui e rimettendoci 3 miliardi di euro dai conti delle sue aziende. Boccone troppo grosso? Passo più lungo della sua gamba? Errori industriali o atteggiamenti persecutori dell’Autorità delle comunicazioni che ha vietato a lui ciò che silenziosamente accettava da altri in competizione con lui? La verità emergerà nel tempo. Sta di fatto che la vicenda fa emergere alcune realtà poco lusinghiere.
La prima: l’Italia è un Paese pieno di capitali, l’abbondanza di liquidità si accompagna a bassi tassi di interesse, eppure non c’è l’ombra di un capitalista o di un gruppo che sia in grado di mettere mano al portafoglio, ricorrere al mercato, beneficiare tutti gli azionisti non solo quelli di controllo, e far sua la principale azienda italiana che, lo ricordiamo, è in grado di fare già oggi fior di profitti al punto che se non ci fossero i debiti, sarebbe sul mercato come «cacciatore» e non come «preda». I debiti spaventano, si sente rumoreggiare in queste ore nei mercati finanziari, dimenticando che chiunque acquisirà il controllo di Telecom dovrà ridurli, e non avrà altra scelta che vendere pezzi pregiati se non vuole ritrovarsi al punto in cui è oggi Tronchetti Provera. Non sarebbe la prima volta che un gruppo dimagrisce per riprendere le forze di tornare a crescere. Un esempio per tutti: Fiat.
La seconda realtà: non c’è qualcuno che abbia la forza di lanciare un’Opa? Ma allora perché valutare quei pochi capitalisti italiani che tentano di crescere, sulla base delle logiche di schieramento politico? Immsi e Fininvest e Benetton potrebbero far parte della cordata di imprese italiane interessate ad entrare nella partita. Sarebbe esiziale che la politica italiana tifasse per lo straniero non in quanto portatore di capitali ed innovazione ma solo come sbarramento alla sgradita impresa italiana. Se c’è un grave conflitto di interessi che incombe sull’economia italiana è quello di una politica che usa il potere di interdizione per favorire aggregazioni finanziarie degli amici e ostacolare la crescita degli imprenditori nemici. Il dissidio tra Prodi e Tronchetti ne è l’ultima testimonianza. E la lettera dell’ambasciatore Usa, a modo suo, segnala proprio questo.
La terza realtà è quella di un Paese in cui le leggi e le regole si interpretano per gli amici e si cambiano per i nemici. La questione non riguarda forse interamente Telecom, i cui guai con l’autorità regolatoria sono cominciati ben prima dell’ultimo show down, anche se lui disse che fu l’asimmetria degli interventi dell’autorità Garante rispetto agli altri competitor ad indurlo alla fine a cercare la strada del disimpegno. Ma riguarda tutte le grandi partite dell’impresa di questi mesi: l’Alitalia, i cui fallito rilancio nasce anche dai dispetti delle autorità aeroportuali su transiti, tratte e voli che hanno spesso favorito le compagnie low cost; Autostrade, dove l’accordo raggiunto tra l’azionista Benetton e la controparte spagnola Abertis è stato rozzamente annullato dal governo; l’energia, dove le banche estere contestano che in Italia si approvino e disapprovino inceneritori nello spazio di un baleno, mettendo a rischio finanziamenti e architetture finanziarie; la Tav, dove si annullano per decreto legge gare di appalto già aggiudicate con oneri di centinaia di milioni a carico dello Stato.


L’Italia non è e non dev’essere un supermarket in cui chiunque possa transitare per anteporre il profitto personale agli interessi strategici del Paese; ma non è neppure un suk in cui le trattative si conducono all’araba e dove, per dirla con Flaiano, la linea più breve per unire due punti è l’arabesco.
b.costi@tin.it

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