Quando la sinistra lanciava l’allarme «Centrodestra nemico della scienza»

Nella scorsa legislatura l’attuale maggioranza prometteva: il rilancio della scuola sarà la nostra priorità

Giuseppe Salvaggiulo

da Milano

Ma come: non erano Berlusconi, Tremonti e la Moratti gli affamatori della ricerca, i killer dell’innovazione tecnologica, gli aguzzini dell’università? E non sarebbe bastato votare Prodi, Rutelli, Fassino e compagnia per avere al governo i difensori dell’università, i numi tutelari dell’innovazione, i profeti delle sorti progressive della ricerca?
Almeno così abbiamo creduto per i cinque anni di governo di centrodestra. Che giorni gonfi di angoscia, quelli in cui Prodi manifestava «molta preoccupazione» ricevendo dal Comitato dell’Ulivo fiorentino per l’università un appello con 5.250 firme per «salvare la ricerca». E indossando il berretto accademico all’università di Genova (9 gennaio 2004) faceva i conti: «La ricerca universitaria italiana è debole: 63 euro per abitante contro una media europea di 89».
E Fassino imputava al governo Berlusconi «il rischio di una nuova fuga dei cervelli dall’Italia, perché la Finanziaria taglia drasticamente le risorse destinate alla ricerca» (4 febbraio 2002). E si dichiarava «preoccupato e inquieto» perché «sia nella Finanziaria dell’anno scorso sia in quella di quest’anno il governo opera per la ricerca con la logica dei tagli» (27 novembre 2002). E sottoscriveva con Bertinotti la «Carta dei principi della Ricerca», come del resto il Consiglio comunale di Pisa, «allarmato» dalle politiche berlusconiane. E l’Ulivo annunciava «battaglia immediata in Parlamento», mentre a Napoli i Ds raccoglievano offerte in un salvadanaio a forma di maialino «da inviare a Tremonti come contributo per evitare i tagli alla ricerca» (e l’assessore regionale Nicolais, oggi ministro, donava 2 euro).
E Cgil, Cisl e Uil proclamavano scioperi dei ricercatori, i quali si facevano vedere più volte ai semafori come lavavetri per denunciare la penuria di risorse e la precarietà dei contratti. E la comunista italiana Maura Cossutta sosteneva la mobilitazione perché «le destre stanno svendendo il futuro del nostro Paese» (12 novembre 2001). E i Verdi esprimevano «enorme preoccupazione per l’aggressione alla ricerca pubblica» (10 luglio 2002). E Violante vergava editoriali sull’Unità intitolati: «Sos ricerca».
E Rosy Bondi sentenziava: «Con i governi di centrosinistra i cervelli sono tornati, con quelli di centrodestra sono andati via» (3 gennaio 2003). E i Ds in crescendo: «Grazie al governo Berlusconi la fuga dei cervelli dall’Italia è una vera emergenza» (17 luglio 2003). E Rutelli riceveva una delegazione di scienziati (9 novembre 2002) e proponeva «una Maastricht della ricerca».
E Bertinotti manifestava contro la riforma Moratti «per dare respiro alle lotte dei ricercatori» (15 maggio 2004). E Umberto Eco apocalittico: «La tragedia è che l’italia non investe abbastanza nella ricerca e regredisce sempre più verso il terzo mondo» (31 gennaio 2004).
Poi venne la campagna elettorale. E che giorni gonfi di speranza, quelli in cui Rutelli partecipava a un convegno sull’innovazione tecnologica a Cosenza (22 giugno 2005) per dire che «gli investimenti per la ricerca sono a un punto bassissimo, questo governo ci ha rimandati indietro. Il prossimo governo dell’Ulivo dovrà inserire tra le priorità i temi della scuola, della ricerca e dell’innovazione».
E Prodi (3 febbraio 2006) annunciava: «Vareremo un grande piano nazionale per la ricerca e l’innovazione». Già, ma quando, Professore? «Subito, subito, subito!».

E allargando le braccia in diretta televisiva nel duello con Berlusconi (3 aprile): «Il livello della ricerca è alla miseria completa, siamo su una strada che più disastrosa non si poteva immaginare».
E Fassino tornava in piazza con i ricercatori (30 marzo 2006) a promettere solennemente: «L’Unione intende investire molto di più».
Molto di più.
giuseppe.salvaggiulo@ilgiornale.it

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