Il grido è unanime: il tempo è scaduto. Non ci può essere più posto per le aggressioni contro le donne, né sessuali, né fisiche e neppure verbali. La coscienza pubblica egiziana sembra avere reagito e a smuoverla è stata una giovane attivista e giornalista, Engy Ghozlan, ideatrice di un progetto destinato a creare un prezioso precedente. La 34enne originaria del Cairo ha brevettato un'applicazione che consente di accedere a una mappa interattiva collegata a un portale, HarassMap.org, sulla quale vengono segnalati casi di abuso o di violenza, denunciati dalle stesse vittime via sms o whatsapp. Una maniera per dare voce e ascolto a chi subisce qualsiasi tipo di molestia: dalla violenza sessuale, allo stalking e alle molestie verbali. Sulla mappa interattiva viene riportato il luogo, l'ora e la descrizione dell'accaduto. Il servizio è collegato con la polizia locale e, su richiesta di chiunque, la mappa può essere inviata sul cellulare, così da potere avvisare quali sono i punti caldi della città da evitare. «L'idea è di avere informazioni generate dagli utenti - racconta Engy - il semplice fatto di non sentirsi sole, può aiutare tante donne indifese».
Considerando che in Egitto ci sono 55 milioni di telefonini e la percentuale di donne che ne possiede uno varia fra un terzo e la metà del totale, ciò vuol dire che ci sono da 16 a 27 milioni di potenziali segnalatrici che potrebbero collaborare al progetto. La mappa on line della città viaggia sulla piattaforma chiamata ushahidi (che in lingua swahili significa «testimonianza»), un software aperto e sviluppato per la prima volta per segnalare i casi di violenze in Kenya dopo le elezioni del 2008. Da allora, il modello è stato esportato in numerosi altri scenari e ha raccolto l'interesse delle Nazioni unite e della Croce rossa internazionale.
L'Egitto purtroppo si trova sul gradino più alto del podio per molestie. Il Cairo risulta essere la città più sessualmente violenta del mondo, davanti a Kinshasa, la capitale della Repubblica democratica del Congo, e a Karachi, in Pakistan. Secondo uno studio dell'Onu il 99,3% delle donne egiziane ha ammesso di essere stata importunata. Dopo la rivoluzione del 2011 il fenomeno arrivò alla ribalta internazionale per vari casi di giornaliste, inviate da grandi media internazionali, divenute vittime a loro volta. Come Lara Logan, corrispondente della Cbs di origine sudafricana, che due mesi dopo la cacciata di Mubarak decise di raccontare come la notte dell'11 febbraio 2011 in piazza Tahrir era stata violentata da una quindicina di uomini. L'anno successivo, un dramma simile fu vissuto da Sonia Dridi, corrispondente di France 24 a sua volta aggredita da una folla di giovani uomini in Piazza Tahrir, il 21 ottobre 2012. «Siamo purtroppo travolte da questo fenomeno vergognoso ogni giorno - spiega Engy -, sentivamo che non potevamo tollerare silenziosamente l'effetto dannoso che tali molestie avevano sulla nostra vita».
«Nella società egiziana le azioni degli uomini non vengono messe in discussione. Pertanto, chiunque può toccare una donna che cammina tranquillamente per strada e non preoccuparsi perché non avrà conseguenze sul piano sociale o legale - ammette Reem Wael, vicepresidente di HarassMap -. La mancanza di sanzioni è sostenuta dai falsi miti e da credenze medievali. Per esempio, si dice che solo le donne che non indossano il velo sono molestate sessualmente o che le violenze si verificano in zone povere. Affermazioni completamente scollegate dalla realtà».
I media egiziani hanno iniziato a occuparsi della questione solo dopo che è apparso sul web un video che mostrava, durante una festività, scene di donne molestate per strada da un gruppo di giovani. Sull'onda emotiva è stata presentata in parlamento una norma per punire questi crimini. La legge prevede la reclusione per almeno sei mesi e il pagamento di una multa di tremila lire egiziane, circa 360 euro. Secondo una ricerca effettuata dalla American university of Cairo, l'80% delle donne che subiscono molestie sessuali verbali purtroppo non denuncia il caso alle autorità, credendo sia un'inutile perdita di tempo. La campagna pubblicitaria di HarassMap sarà diffusa attraverso ogni social media, radio e tre spot pubblicitari in tv. Il primo mostrerà come la legge punisce la molestia sessuale, il secondo sarà un video con una donna che viaggia su un mezzo pubblico e viene importunata, il terzo presenterà il momento della cattura del molestatore e la pena che ne consegue. Malgrado alla base del progetto ci siano imperativi e finalità di tipo etico, HarassMap non è un'iniziativa del tutto no profit: il modello di business si basa in parte sulle donazioni degli sponsor e in parte sui profitti che potrebbero essere generati tramite l'invio di sms alla piattaforma. Gli ideatori hanno calcolato che se ciascuna delle potenziali vittime inviasse almeno una segnalazione, gli introiti annuali si aggirerebbero fra i 500mila e gli 850mila euro.
HarassMap nel frattempo è stata premiata dall'università del Cairo, ha ispirato un paio di serie tv locali e ha ottenuto risonanza grazie alla collaborazione di aziende come Uber o all'intervento della moglie del presidente Al Sisi, Entissar Amer, che ha avuto parole d'elogio per il progetto.
Per Azza Suleiman, direttrice del Centro egiziano per l'assistenza legale alle donne, HarassMap sarà utile ma potrebbe escludere le donne meno colte e tecnologicamente evolute. Inoltre, le difficoltà non saranno poche: si affronta un problema culturale, che scoraggia le donne dal parlare di violenze e biasima il loro abbigliamento.
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