Quando Tonino Guerra copiò la "Madonna del parto"

Per il film "L'ultima notte di quiete" di Valerio Zurlini lo sceneggiatore replicò l'opera in una pieve a Pennabilli

Quando Tonino Guerra copiò la "Madonna del parto"

Marzo è il mese di Tonino Guerra, in Primavera è nato, in Primavera è morto: 16 marzo 1920, 21 marzo 2012. E tra le cose che io so, e che pochi forse sanno, è che Tonino Guerra fu vicino a un grande regista, Valerio Zurlini, altro artista troppo poco ricordato, autore che tradusse in un film meraviglioso un testo letterario altrettanto meraviglioso, Il deserto dei Tartari, di Dino Buzzati. Nello stesso anno in cui la censura toccò Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, il 1972, apparve La prima notte di quiete, di Zurlini, appunto.

Alain Delon, nel ruolo di Daniele Dominici - discendente di una nobile e decorata famiglia vessata dal destino, supplente di letteratura in una scuola di Rimini - si innamora di una minorenne, Vanina Abati (la bellissima Sonia Petrovna). Vanina è figlia di una prostituta (Alida Valli), lei stessa in passato abusata da un giro di amici viziosi (cast eccezionale: Renato Salvadori, Giancarlo Giannini..), legata per interesse a un giovane longilineo, bello, losco e ricco, interpretato da Adalberto Maria Merli, che gira a bordo di una fiammante Lamborghini Miura rossa. Ma il romantico, intenso professore (in cappotto cammello, in perenne conflitto con le istituzioni rappresentate dal preside - Salvo Randone) si innamora di lei, perdutamente, e cerca di redimerla attraverso la letteratura, la parola, e un'opera d'arte, nonostante la bellissima moglie (con la quale ha un rapporto piuttosto libero), una conturbante Lea Massari (Monica nel film).

E qui entra in gioco Tonino Guerra, che non è accreditato come sceneggiatore nel film. I due innamorati, dopo una visita all'acquario dei delfini di Rimini, giungono in una quattrocentesca chiesa vuota, davanti a un capolavoro di Piero della Francesca, la Madonna del parto. La Vergine compare in stato interessante, con due angeli dipinti a partire dallo stesso cartone, ribaltati per essere identici, che tengono con grazia una tenda con l'ermellino, da cui emerge una bellissima ragazza altera e contadina, posta leggermente di traverso per evidenziare il suo ventre. Alain Delon illustra il quadro a Sonia - perduta e principesca nell'assetto - con un testo meraviglioso di Zurlini: «Nel 1460 la comunità contadina di Monterchi ordinò a Piero questa Madonna. Gli autori della commissione non erano papi, né principi né banchieri, e può darsi che all'inizio Piero abbia preso il lavoro un po' sottogamba. Malgrado questo, ecco il miracolo di questa dolce contadina adolescente, altera come la figlia di un re. Il silenzio della campagna intorno a lei è così compiuto. Finora probabilmente si è divertita a confidarsi con le sue bestie: le chiama per nome e... E ride. Poi a un tratto tutto è finito, poiché attraverso i secoli il destino ha scelto proprio la sua purezza. Tutto finito. Lei ne sembra compresa, ma non felice, se già sente oscuramente che la vita misteriosa che giorno per giorno cresce in lei finirà su una croce romana, come quella di un malfattore. E secoli dopo un grande poeta le si rivolgerà con queste sublimi parole: Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d'eterno consiglio. Tu se' colei che l'umana natura nobilitasti sì, che 'l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Probabilmente non le avrebbe neanche capite». «Lei vorrebbe avere un figlio?», chiede Sonia/Vanina, già caduta nella rete delle parole di Alain/Daniele.

«Sembrate tutti d'accordo per farmi la stessa domanda. - risponde Daniele - Dio santo, non ne ho più la volontà, né il coraggio, né la fantasia. Ho scordato troppe cose. Tu puoi dirmelo: cominci adesso».

«C'è un momento nella vita quando due esseri si amano, in cui si desidera avere un figlio? Non lo so. Anche se non è vero che comincio adesso. Due che si amano Ecco, forse. Perché altrimenti rimane soltanto un corpo che si deforma. Rimane solo il disagio, la pena, la crudeltà della gente che comincia ad accorgersene, senza che ci sia più nulla da fare. O quasi».

Scrivo questo perché l'affresco di Piero, in presenza, diventa strumentale alla seduzione. Anzi di più, rende viva la scena, la fa palpitare, la rende vera, riempie le parole - altrimenti astratte - del dialogo.

Ma dove avviene tutto questo? In una meravigliosa chiesa romanica del Quattrocento, trovata da Tonino Guerra, che non c'entra nulla con la collocazione originaria e attuale dell'affresco, che è Monterchi. Ma proprio per questo va sottolineato il tocco geniale dello sceneggiatore e scenografo (non accreditato). L'affresco di Piero era stato commissionato per la chiesa del cimitero, a Monterchi, ora restaurata, poi è stato staccato, e posto in una scuola di fine Ottocento, dove lo si può ammirare con ogni comodità, ma è come se fosse all'ospedale, senza allure, senza lo spirito del luogo, senza la poesia, senza il contesto. Lo si guarda come in un laboratorio si studia un'opera in restauro. O in un museo, che è, in fondo, un ricco cimitero, dove molte opere stanno, strappate - per una giusta conservazione o per spoliazioni - ai loro luoghi originari.

Guerra non disponeva delle possibilità di riproduzione di oggi. Si pensi alle copie perfette di Adam Lowe dell'Ultima cena di Leonardo e de Le nozze di Cana del Veronese, opera che oggi è tornata a casa, nel refettorio di San Giorgio a Venezia, indistinguibile dall'originale che sta al Louvre. Dunque Guerra produce una fotografia stampata su una tela leggera, suggerendo di esporre una riproduzione dell'opera di Piero, e di collocarla in una pieve di Pennabilli, luogo di elezione di Guerra.

E oggi chi fa un pellegrinaggio a Pennabilli, troverà nella chiesa del Quattrocento il dipinto di Piero della Francesca che non è originale, ma è in un contesto che è più vero della attuale collocazione, che è «un falso».

Questa è la forza della poesia di Guerra, più vera del vero.

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