Quei 170 milioni di no all’Europa

A giudicare dalla faccia compunta e addolorata del conduttore di «Ballarò», mentre faceva rilevare ai suoi stupiti ascoltatori che Berlusconi «aveva conservato per due giorni il silenzio sui risultati delle elezioni», se ne sarebbe dovuto dedurre che nessuna Waterloo fosse mai stata più grave di questa. Se ogni tanto qualcuno dei presenti non avesse fatto lo sforzo di risalire alla concretezza dei numeri, ci si sarebbe facilmente convinti che lo scontro elettorale fosse finito con la sconfitta del Pdl. Ma non si tratta soltanto di «Ballarò». Tutta la sinistra ha impostato la sua battaglia del dopo-elezioni sullo stesso principio con il quale ha condotto quella del «prima»: parlare sempre e soltanto di Berlusconi; «creare», parlandone, i problemi di Berlusconi, le amarezze di Berlusconi, le sconfitte di Berlusconi; far nascere, infine, nella mente e nell’anima degli ignari cittadini, la convinzione che si nascondano, nell’oscuro orizzonte nel quale si muovono i passi dell'uomo Berlusconi, i fatali precipizi di una nemesi inevitabile. Purtroppo i rappresentanti del Pdl, così come le persone più vicine a Berlusconi, sono caduti, e continuano a cadere, nella ben nota trappola del «la poveretta rispose». La regola, infatti, è che non si deve mai rispondere. Ma la cosa più sorprendente di questa situazione, è che vi si siano lasciate irretire persone espertissime dei mezzi di comunicazione di massa quali quelle che si muovono intorno a Berlusconi; senza contare lo sconcerto anche dei più semplici cittadini, ai quali era sufficiente il buon senso per comprendere come fosse un errore seguire la sinistra nel suo modo di falsare la realtà.
Un altro errore, però, è stato fatto da tutti, a destra come a sinistra: mettere a confronto i risultati delle elezioni europee con quelli delle ultime politiche. Un errore clamoroso, ma che nasce dallo scarsissimo valore che politici e giornalisti danno all'Unione europea. Ne sono così convinti che attribuiscono lo stesso disinteresse agli elettori, non riuscendo perciò a fare un’analisi obiettiva dei risultati delle elezioni. È invece soltanto se si mette in rilievo come motivazione più importante il dato «Unione Europea» che si possono comprendere i comportamenti dell’elettorato.
Come è noto ha votato in media fra tutti i 27 paesi poco più del 43% degli aventi diritto. In democrazia, una vera e propria disfatta. Ma qui c’è molto di più di una disfatta democratica. Si tratta di oltre 170 milioni di cittadini, appartenenti a nazioni diverse, a lingue diverse, a idee, religioni, costumi diversi che, pure non essendosi messi d’accordo fra loro e non avendo avuto nessuna comunicazione e nessun ordine dall’alto, hanno preso una identica decisione e si sono comportati nello stesso modo. (Sarebbe sufficiente, a far temere per il futuro democratico dell’Europa, l’irresponsabilità dei governanti, i quali si apprestano, senza essersi fermati neanche un attimo a riflettervi, a governare 170 milioni di persone di cui non hanno il consenso). È questa la cosa più importante: 170 milioni di persone hanno detto «no» all’Europa, utilizzando l’unica possibilità loro concessa: non votare. Non è stato permesso, infatti, ai popoli di esprimere nessun parere negativo sul progetto di unificazione degli Stati d’Europa, per cui la grande massa dei contrari o non vota oppure si riunisce sotto le ali dei partiti «euroscettici», i quali paradossalmente partecipano al Parlamento europeo allo scopo di eliminarlo, o almeno di limitarne al massimo i danni, come i Verdi dei paesi scandinavi, le destre e i nazionalisti presenti in Francia, in Austria, in Polonia e in diversi altri Stati dell’Est post comunista.
Nessun commentatore però ha voluto mettere in luce il fatto che uno dei principali motivi della crescita di questi partiti in tutta Europa si trova proprio nell'aumento dell’ostilità nei confronti del governo sovrannazionale. Neanche Berlusconi, entusiasta dell’Europa, ha capito che i voti che gli sono mancati sono quelli non degli astensionisti, come è stato detto, ma degli antieuropeisti astensionisti. Perfino davanti al tracollo dei laburisti in Gran Bretagna non si è messo in luce il motivo più grave, ossia il tradimento della fiducia dei cittadini compiuto prima da Blair e poi da Brown, i quali avevano ambedue promesso il referendum per l’Europa. Anzi, il governo Brown, del tutto incurante della promessa, ha ratificato il Trattato di Lisbona con la stessa silenziosa arroganza di tutti gli altri governi. Il fatto è che nell'ambito dell'organizzazione europea si sono accumulate in questi ultimi anni, davanti agli occhi dei cittadini impotenti e ridotti al ruolo esclusivo di spettatori, decisioni gravissime come l’eliminazione dei confini fra gli Stati, l’incredibile allargamento dell’Unione a molti paesi dell'Est cui nessuno in principio aveva mai pensato, l’adozione di una Costituzione-Trattato quasi del tutto sconosciuta a coloro che avranno il dovere di obbedirle e di metterla in atto. Si è assistito inoltre alla lunga inerzia della Banca centrale, fintamente ignara dei crimini finanziari perpetrati in tutto il mondo e incapace di una efficace reazione di difesa. È stato svelato, infine, con il continuo invito a favorire l’immigrazione, a superare le differenze fra le nazioni e a puntare in assoluto sul libero scambio delle merci e dei capitali, il vero scopo dell'unificazione europea: fare dell’Europa la copia esatta dell’America o, per meglio dire, un tutt’uno con l'America. Obama è talmente sicuro di questa sostanziale unicità che non ha esitato a presentarsi nei due Stati leader dell’Ue proprio nei giorni delle elezioni politiche, cosa che nessun altro capo di Stato si sarebbe permesso di fare. In Germania, poi, come in Francia, Obama ha ricordato, senza riguardi per nessuno, che sono stati gli americani a liberare l’Europa; e che l’America si aspetta la rapida ammissione della Turchia nell’Unione al fine di saldare i confini europei con quelli della Nato.
L’aspetto più imbarazzante, però, di questo disinteresse per l’Ue da parte dei politici, è lo svuotamento del ruolo delle sinistre. Una cosa è certa: nessun popolo, così come nessun individuo, può volere la propria morte. Dunque la sinistra avrebbe una sola possibilità di stare dalla parte del popolo: combattere contro l’Unione europea. Siccome, viceversa, ha sposato la causa dell’Ue, si ritrova a non poter combattere per nessuna delle cose che avrebbe dovuto combattere: il liberalismo capitalistico, il governo dell’alta finanza e dei banchieri, la tecnologizzazione che le sottrae gli operai...

Si ripresenta, perciò, sotto un altro aspetto, il problema dello svuotamento della democrazia che già incombe con i 170 milioni di non elettori. La sinistra deve mettersi a pensare in fretta sul da farsi. Siamo tutti con lei.

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