Il fallimento dell’attentato a Benazir Bhutto rafforza gli effetti del suo ritorno trionfale. Se sfuggirà a possibili altri agguati, ha in tasca la vittoria nelle elezioni politiche del gennaio 2008, seconda tappa di una road map verso la democrazia imposta a Musharraf dagli Stati Uniti, dopo le presidenziali che il generale ha vinto, ma che restano sotto la spada di Damocle di un possibile annullamento da parte della Corte Suprema (in quanto, secondo alcuni, non avrebbe potuto ricandidarsi senza dimettersi da capo delle Forze armate).
La politica del Pakistan poggia su tre partiti storici: la storica Lega islamica (Pml), rispettosa dell’islam ma sostanzialmente laica; la sinistra populista (Ppp) della famiglia Bhutto; e l’islam politico, diviso in sei partiti raccolti in un contenitore chiamato Alleanza Islamica (MMA). La Lega si è spaccata in due partiti: il Pml-N, guidato dall’ex primo ministro in esilio Sharif, che propugna l’alleanza con la Bhutto, e il Pml-Q di Musharraf che è stato finora dell’islam politico. Le elezioni del 2002, vinte dall’alleanza fra il Pml-Q e gli islamici, sono state macchiate da gravi brogli. La Bhutto si è già ripresa la piazza e di lei il Pakistan preferisce ricordare gli anni di governo come un periodo di benessere, dimenticando le condanne e le incriminazioni per corruzione che la bella signora ha subito non solo in Pakistan ma anche in Europa. Realista, Musharraf si è accordato con Benazir, lasciandola rientrare in patria e promettendole l’amnistia per le vecchie condanne. Ma i due non si fidano l’uno dell’altro, così che Musharraf ha voluto farsi rieleggere presidente dall’attuale collegio elettorale (frutto dei brogli del 2002), mentre la Bhutto chiede che il voto presidenziale sia annullato e ripetuto dopo le politiche del 2008.
Il Pakistan è l’unico Paese musulmano dotato di bomba atomica. Confina con l’Afghanistan e con l’inquieta India del Nord, che conta centocinquanta milioni di musulmani. È una delle case madri del fondamentalismo internazionale. Ce n’è abbastanza per seguire con preoccupazione le sue vicende politiche e le agitazioni dei fondamentalisti, che sono al minimo storico nei sondaggi e del resto non sono riusciti a fare nulla per la disastrosa situazione economica delle province che governano. Bene: ma la vittoria della Bhutto da sola non basta.
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