Quei quattro killer pronti a finire il Pd

Ecco gli indiziati per il delitto perfetto: prodiani, rutelliani, dalemiani e partito dei sindaci. Una di queste correnti farà saltare il banco. Decretando la fine della fusione Ds-Margherita. L'ultimatum dei "nordisti": rischio scissione altissimo

Quei quattro killer pronti a finire il Pd

Chi romperà per primo il Pd? Questa domanda non nasconde né un concorso a premi né un auspicio. È la domanda politica del giorno, viste le tensioni che attraversano il partito maggiore dell’opposizione e i segnali di dissociazione che vengono da diverse parti del gruppo dirigente. I sospettati sono almeno quattro. Possono dichiarare finita la partita del Pd i rutelliani, i dalemiani, i prodiani, i cacicchi. Potrebbe accadere che lo facciano tutti e quattro assieme.

Nei matrimoni falliti ci sono separandi che preferiscono un dignitoso allontanamento alla lite perpetua mortificante. È più probabile, viceversa, che vi sia un momento in cui uno dei quattro soggetti decida di staccare la spina e di andare da solo a cercare nuove strade. Tra parentesi tutto ciò rende la discussione sulla candidatura di Renato Soru alla guida del Pd francamente surreale. Il gruppo Repubblica vuole dare ancora le carte nella sinistra, ma non si accorge che il giocattolo si sta rompendo anche grazie ai colpi dei suoi giornali.

Rutelli e i rutelliani L’ex leader della Margherita non voleva il Pd e alla unificazione con i Ds si adattò con un fulmineo voltafaccia. Al Pd Rutelli chiedeva alcune cose precise. Un allontanamento netto da tutte le tradizioni della sinistra, un partito di centro a forte impronta cattolica e confessionale, una terza via europea che sancisse la fine del dualismo Partito popolare/Partito socialista. In politica interna il rutellismo propagandava un riformismo mercatista, quello che fa sobbalzare Tremonti. In politica estera un più deciso filo- americanismo. È probabile che Rutelli pensasse anche di aver un ruolo decisivo nella leadership di questo partito una volta caduta l’icona prodiana. È andato tutto a rovescio. Il Pd non è una terza forza ma assomiglia, secondo Rutelli, al vecchio Pci. La battaglia per la leadership si svolge fra vecchi dirigenti ex comunisti, il riformismo interno è fragile, la politica estera è filo-araba. Rutelli per di più crede che il paese si possa governare con una forza di centro e si immagina che il dopo Berlusconi, praticamente nel secolo venturo, spetterà ai cattolici democratici. Di qui le strizzatine d’occhio reciproche con Casini. Da qui il possibile gesto di rottura che potrà avvenire prima delle europee se il Pd resta troppo vicino al Pse.

D’Alema e i dalemiani Perché D’Alema abbia scelto la strada del Pd è un’incognita. I retroscenisti incalliti pensano che abbia dovuto farlo sottoposto a qualche eccessiva e indebita pressione. Non ha scelto di diventare «democrat», ma l’hanno costretto a diventarlo. Il nuovo partito non gli piace per due ragioni. Perché è evanescente e perché lo dirige Veltroni. Nel gergo dalemiano sono la stessa cosa. D’Alema è un antico togliattiano che fa delle alleanze sociali e politiche la regola aurea della politica. Un partito fai da te e fai da solo non può piacergli. Un partito con più alleati è nella sua concezione classica. Anche D’Alema è convinto che ci sia bisogno di un centro democratico e cattolico e si aspetta di guidare una socialdemocrazia riformata alleata con i centristi e con i radical più ragionevoli. Solo così, pensa, si può battere Berlusconi. Questo partito sarebbe neo-statalista in politica interna, francesizzante in politica estera. D’Alema non romperà mai per primo ma spingerà gli altri a farlo per poter lavorare al nuovo soggetto legato al Pse. Del resto le ambizioni del leader sono tutte europee e hanno bisogno dell’approvazione del Pse. Tutto il contrario di Rutelli.

Prodi e i prodiani Il leader e i suoi seguaci vogliono la vendetta su Veltroni. Una vendetta che viene da lontano, da quando Veltroni, caduto il primo Prodi, accettò di fare il segretario dei Ds con D’Alema a Palazzo Chigi. Il gruppo prodiano è talmente vendicativo che considera la caduta di Veltroni il bene supremo e farà di tutto per provocarla. La loro prospettiva si congiunge più probabilmente con quella del partito giustizialista di Di Pietro se si trovasse un altro leader (ecco qui che torna Soru), ma potrebbe persino acconciarsi nel partito di D’Alema. Da questo gruppo può giungere in qualunque momento l’atto unilaterale di rottura, la pistolettata di Sarajevo che  dà inizio alla guerra mondiale. È un gruppo di pochi voti e scarso seguito che dispone però del marchio d'origine, «l’Ulivo», che è ancora spendibile sul mercato politico.

I Cacicchi La rottura del Pd non può essere determinata solo da un gesto, consapevole o meno, di un gruppo ma anche dalla ribellione estesa della periferia. La quantità di commissari che Veltroni sta inviando nelle regioni ribelli indica il distacco che si sta realizzando fra il nuovo potere centrale e il potere reale periferico. Le prossime amministrative possono diventare il banco di prova.

Da Bassolino, a Cacciari, a Penati, a Chiamparino, a Domenici, potremo avere liste e alleanze amacchia di leopardo che possono dare l’idea di un partito che non c’è più. Insomma, il giallo è tutto in piedi. C’è il probabile morto, cisono i probabili assassini. Bisogna solo aspettare.

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