Quel mediatore «troppo vicino» ai talebani

Non basta pubblicare una foto di Rahmatullah Hanefi a braccetto con Gino Strada da una parte e l’ambasciatore italiano a Kabul, Ettore Sequi, dall’altra, per sviare i sospetti dal manager di Emergency arrestato dai servizi segreti afghani che lo accusano di collusione con i talebani. La fotografia in cui tutti e tre sorridono allegramente campeggia sul sito di Peacereporter, la costola mediatica di Emergency, accanto alla difesa accorata di Strada del suo uomo.
In effetti Hanefi è stato utilizzato dal governo italiano, via Emergency, sia per la liberazione di Gabriele Torsello, il free lance sequestrato lo scorso anno nella provincia di Helmand, che per il rilascio di Daniele Mastrogiacomo preso in ostaggio nella stessa zona. Il capo dei servizi afghani, Amrullah Saleh, sostiene di avere «le prove che Hanefi è un facilitatore dei talebani, se non addirittura un loro militante travestito da operatore umanitario». L’Nds, il National directorate for security, l’intelligence di Kabul, sta inoltre verificando «l’ipotesi che Rahmatullah abbia teso una trappola sia a Torsello che a Mastrogiacomo». Ieri La Stampa rivelava che pure le nostre barbe finte del Sismi hanno avvisato il governo Prodi: Hanefi è molto, forse «troppo» vicino ai talebani. Lo stesso ambasciatore a Kabul avrebbe compilato un rapporto riservatissimo inviato alla Farnesina in cui si preannunciavano le gravi accuse dei servizi di Kabul contro l’uomo di Emergency.
Il giorno dopo la liberazione di Mastrogiacomo i familiari di Sayed Agha, l’autista del giornalista di Repubblica decapitato per primo dai talebani, si erano riuniti a protestare davanti all’ospedale di Emergency a Lashkargha. «Lo straniero (Mastrogiacomo) è stato liberato e mio fratello, musulmano e afghano, ucciso – gridava Mohammed Dawood –. Perché Rahmat (Hanefi) l’ha fatto, perché ha liberato solo il giornalista straniero? Per il suo beneficio personale». Si trattava di familiari esasperati dalla perdita di un loro caro, ma poche ore prima Hanefi, responsabile del personale di Emergency a Lashkargah era stato arrestato.
Chi è il controverso mediatore per il quale Strada metterebbe la mano sul fuoco? Per Emergency ha cominciato a lavorare nel 2000 partecipando come autista agli scambi di prigionieri fra talebani e i mujaheddin del comandante Ahmad Shah Massoud sulla linea del fronte a nord di Kabul.
Un anno dopo venne arrestato dalla polizia religiosa di mullah Omar, che aveva fatto irruzione nell’ospedale di Emergency perché le donne non erano rigorosamente separate dagli uomini. A Lashkargah, dove vive, Hanefi gestiva non solo il personale dell’ospedale, ma pure la sicurezza e quindi erano inevitabili i contatti con i talebani, quantomeno per evitare guai.
I servizi continuano a non far vedere uno straccio di prova sul ruolo di Hanefi, ma l’inchiesta si basa su accuse precise. L’intelligence è convinta che sia stato Hanefi a spingere, in qualche maniera Mastrogiacomo e forse Torsello, fra le grinfie dei talebani. Nel caso dell’inviato di Repubblica, un’intervista al comandante Haji Lal Mohammed si è trasformata in una trappola. La seconda accusa riguarda i quindici minuti di discussione con i capi talebani sul greto del fiume Helmand, dove è avvenuto lo scambio di prigionieri.
Dopo il conciliabolo Mastrogiacomo è tornato in libertà e l’interprete del giornalista italiano, Adjmal Naqshbandi, è rimasto in ostaggio dei tagliagole per poi venire decapitato. Inoltre i servizi afghani sono convinti che i talebani volessero parlare solo con Hanefi, perché è una loro quinta colonna.

L’importante è capire, prove alla mano, se si tratta di una pretestuosa rappresaglia nei confronti di Emergency, o di accuse fondate. Se così fosse lo stesso governo italiano dovrebbe spiegare come mai ha dato via libera a Strada ed al suo stretto collaboratore.

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