Quel racket che sfrutta i mendicanti

A leggere la storia della cronista che si è improvvisata mendicante per studiare le reazioni della gente e della polizia, si è folgorati da due differenti linee di pensiero. Prima, qualsiasi cosa possano dire disinformati esponenti di organismi europei, i tutori dell’ordine conservano quell’umanità di tratto che è propria degli italiani. Di fronte a una donna che immaginano bisognosa e dolente non fanno sfoggio né di durezza né di forza inopportuna. Considerano che vive in strada, valutano che un fermo la trascinerebbe in un girone di strutture inadeguate e di procedure umilianti e allora risolvono la questione con un consiglio che dovrebbe salvare tutto e tutti: si levi dal centro, dal salotto della città, se proprio deve mendicare vada alla stazione Centrale, gente che va gente che viene, un flusso continuo di persone frettolose in cui anche i mendicanti riescono a mimetizzarsi.
Ma c’è anche un’altra linea di pensiero. Chi aiuta questa umanità di tratto? Chi trae vantaggio da questo buonismo solo in parte apprezzabile? Non c’è dubbio, questi comportamenti favoriscono i professionisti della questua organizzata, gli specialisti della mendicità-business, sospinti – immaginiamo – da un quartiere all’altro, ma sempre al lavoro, si fa per dire, in strada.
D’accordo, non è con la guerra ai mendicanti che si vince sul fronte della sicurezza, ma bisogna rendersi conto che la richiesta degli spiccioli quasi sempre è l’espressione di un racket.

E poi da qualche parte bisognerà pur cominciare per ridare ai nostri paesaggi urbani un accettabile standard di civiltà, che meritiamo. Bisogna evitare durezze eccessive e inammissibili, ricordando però che anche il lassismo può far male.

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