Quella banca che sembrava sull’orlo del crac

Soltanto un anno fa si parlava di una nuova Parmalat. Oggi l’istituto lombardo vale 8 miliardi

La Banca Popolare italiana, ex di Lodi, vale quasi 8 miliardi. Tanto è stata stimata sul mercato: a questo prezzo passerà sotto il controllo di un’altra popolare, quella di Verona e Novara. Il modo migliore per festeggiare, a Lodi, un compleanno molto speciale: è passato proprio un anno da quando, era il 20 ottobre del 2005, tra scambi vertiginosi (quasi il 6% del capitale) la più drammatica seduta di Borsa nella storia della Popolare di Lodi si chiudeva con un crollo del 21%. Le azioni passavano di mano a 5,9 euro. Mentre la capitalizzazione della banca che Gianpiero Fiorani aveva portato (dopo l’11 settembre) sopra i 7 miliardi, precipitava fino alla soglia dei 4 miliardi.
La grancassa mediatica, guidata dai grandi quotidiani, non esitava a paragonare la banca lodigiana alla Parmalat, evocando il crac. Erano sufficienti alcune analogie: un fondo estero risultato essere grande azionista della banca (Victoria & Eagles) e domiciliato alle Cayman come il famigerato Epicurum di Calisto Tanzi, piuttosto che il ruolo della Deloitte, la stessa società di revisione della Parmalat. Completavano il quadro ingenti investimenti in 16 fondi hedge, il tutto con l’intento di sfidare il sistema (nella conquista di Antonveneta e Bnl) e di osare l’inosabile: appoggiare Stefano Ricucci nella scalata al Corriere della Sera. Sembrava che una voragine stesse per aprirsi sotto la nuova sede progettata a Lodi da Renzo Piano.
È passato un anno. E tanto è bastato a Divo Gronchi e al suo direttore generale Franco Baronio per riportare la Bpi da 4 ai 7,3 miliardi di valore della chiusura della Borsa di ieri. Certo, di operazioni, i due manager, ne hanno fatte: tutte le strutture che servivano per arrivare ad Antonveneta sono state smontate; le azioni Rcs ricevute in pegno sono state vendute; l’esposizione di Ricucci è stata ripulita. Ma di buchi profondi, in verità, ne sono emersi né punti né pochi: in fin dei conti è bastato un aumento di capitale, unico sacrificio richiesto ai soci, da 719 milioni. Che, tra l’altro, si è rivelato un affare: è stato offerto a 6,8 euro, quando il titolo ha chiuso, ieri, a quota 10,7.

Così, da Verona, è arrivata un’altra banca popolare che di euro, tra carta e cash, ne ha messi sul piatto addirittura 12. Che in tutto fa 8 miliardi. Quasi come la Bnl, o la stessa Verona, di più della Bpu: per una banca che era sull’orlo del crac non è male.

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