C hissà cosa ne sarebbe stato se avesse seguito lidea della mamma. Forse Nino Benvenuti avrebbe raccontato una vita da chierichetto. Invece il Dna era tuttaltro e oggi questo signore si porta appresso nei suoi 70 ruggenti limmagine glamour che fu un passaporto di successo. Benvenuti ha sconfitto tanti avversari, ma anche lidea del pugile suonato. Ha sconfitto la voglia di un ritorno al ring e, davanti a Carlos Monzon, si è arreso a quella manciata di saggezza che gli insegnarono i pescatori di Isola dIstria, che poi è la sua terra: quando cambia il tempo, le reti vanno tirate su anche se sono vuote. Altrimenti si rischia di perderle.
Benvenuti lo ha ammesso tanti anni dopo, lo ha scritto, ha restituito a quel getto della spugna del suo manager dallora, Bruno Amaduzzi, la dignità di un atto, laffetto di una idea, forse la possibilità di sentirsi oggi ancor così vivo e brillante. Certamente, al tirar delle somme, Nino potrà dire che questi settanta anni non sono passati invano. Ha traversato epoche e unItalia diversa, ha vissuto il Sessantotto da campione che stava sullaltra sponda della contestazione. Lui saliva sul ring dellAriston di Sanremo, primadonna del nostro sport e, come ogni primadonna, altalenante tra vizi e virtù, e fuori cerano quelli che gli urlavano: «Tu stasera guadagni 50mila lire, il salario di un operaio».
Nino ha interpretato il bello e il brutto dellessere italiano. Ha vissuto tra gossip veri e pettegolezzi ad arte, ha traversato le turbolenze di un matrimonio, ha amato donne diverse, ha dovuto far i conti con i figli, ha conosciuto ricchezza e in parte lha dissipata. Negli Stati Uniti ha raccolto gloria, danari, è stato lambito da storie poco chiare ai tempi del suo match con Dick Tiger, ha conosciuto qualche gangster di troppo e ha rischiato di scontare. La sua faccia ha trionfato sulla copertina della rivista Life. Ha diviso lItalia come tutti i campioni che si rispettino: non cera via di mezzo tra lessere amato o detestato. Aveva la bellezza estetica di un attore, la battuta pronta, lintelligenza viva. Talvolta condiscendente e simpatico, talaltra intollerante al limite della presunzione. Ha trovato il suo contraltare in Mazzinghi, come Rivera laveva in Mazzola, Coppi in Bartali, Moser in Saronni.
Nino conquistò lAmerica con limprinting dellitaliano bello, tipico, figlio di una cultura, un po gigolò, passato dalla bicicletta al Maserati, tosto nella testa, capace di soffrire, stilisticamente scintillante nel tirare pugni, così come Carnera è stato litaliano impensabile: una montagna di muscoli, un gigante buono, un personaggio sbucato dalle favole. Nel giro di trentanni una nazione ha cambiato così limmagine dei suoi campioni della boxe. UnItalia che sapeva sognare più di oggi, emozionarsi in modo genuino, molto più affezionata ad atleti che scandivano lidea di una rivincita anche sociale. Quelli erano davvero i campioni dellItalia e Benvenuti lo è stato fin da quando ha vinto le Olimpiadi di Roma che, a buon diritto, ritiene il successo più importante della sua vita datleta. Labbiamo conosciuto con i capelli a spazzola e labbiamo lasciato così anche nel suo ultimo atto sul ring contro Monzon, come fosse rimasto un ragazzo a caccia di una storia e di un successo.
Appunto perché quella era unItalia che soffriva e partecipava ai successi dei campioni, il mondiale contro Emile Griffith è rimasto nel ricordo di tutti non solo per la bellezza dei sinistri e destri di Nino, ma anche per aver tenuto sveglia unintera nazione. La Rai non lo trasmise «per non turbare il ciclo lavorativo degli italiani», fu detto e scritto, ma impazzirono i centralini telefonici richiesti di sveglia nella notte: tutti vollero ascoltare la radio.
Benvenuti ha sempre rivendicato il diritto di una vita a modo suo, anche fuori dal ring, anche nel momento in cui ha smesso di tirare pugni e si è rimboccato le maniche in altro senso. Ma, ancora oggi, Nino rimane licona del pugile di successo.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.