Chiamale se vuoi illusioni. O guerre infinite. Sono quelle generate dagli spasmi di dittature senza più consensi. Quelle invocate da opinioni pubbliche sdegnate per le violazioni dei diritti umani. Quelle decise dal mondo libero per toglier di torno chi la libertà la vuole solo per se. Guerre a volte giuste. A volte no. Ma sempre assai pericolose. E assolutamente costose. L’ultima si chiama Libia.Nata con il nomignolo di “ no fly zone”, venduta come operazione limitata, ma indispensabile per difendere i civili di Bengasi si è trasformata, passo dopo passo, in una caccia senza quartiere a Muhammar Gheddafi. Ma lui non ha nessuna voglia di andarsene. Né di farsi ammazzare. E così il contatore di euro e dollari gira.
A dar retta ai ragionieri del Pentagono tener in piedi le operazioni da qui a settembre costerà agli Stati Uniti non meno di 750 milioni di dollari. Noi - oltre a dover spendere per reperire gas e petrolio in altri lidibruciamo 12 milioni di euro a settimana per far volare i Tornado e far girare le eliche delle navi tra Mediterraneo e Sirte. E non è detto che l’uscita di scena del rais metta fine allo scialo. Il passato è lì ad insegnarcelo. Ricordate la Somalia? Quando nel 1991 il detestato Siad Barre abbandona Mogadiscio l’opinione pubblica internazionale saluta l’inizio di una nuova era. In qualche modo lo è. Da quel momento la nazione Somalia cessa letteralmente di esistere e diventa la nostra dannazione. Due anni dopo la fuga di Barre siamo già lì a far la guerra a quell’Aidid salutato prima come protagonista della cacciata del dittatore e poi come la sua peggior reincarnazione. Eppure Aidid, incubo della forza multinazionale incaricata di ridurlo a miti consigli, non è ancora il peggio. La caduta nel baratro inizia dopo il fallimento della missione multinazionale e la morte dello stesso Aidid.
Da allora il paese assume le forme di una nuova Tortuga contesa da pirati e terrore alqaidista. E che dire dell’Afghanistan?Negli anni 80 tutto il mondo libero appoggia i mujaheddin impegnati nella lotta ai sovietici. Salvo poi ritrovarne alcuni nell’inattesa veste di alleati di Al Qaida e Talebani.A tutt’oggiil secondo atto di quella guerra infinita iniziato dopo l’11 settembre – non è al termine. Il conflitto protrattosi per dieci anni dopo la cacciata nel 2001 del mullah Omar e di Osama Bin Laden non può dirsi vinto neppure con la morte del capo di Al Qaida. Un’autentica vittoria richiederà altri anni di costosa presenza militare seguiti da lustri di aiuti alla ricostruzione e lenta pacificazione. Del resto come l’Irak insegna, le guerre non son mai perfette. L’America inizia a scoprirlo nel 1991. Allora proprio per evitarne complicazioni e costi Washington libera il Kuwait, ma si guarda bene dal far cadere Saddam. Il rais si vendica con curdi e sciiti costringendo gli Usa e i loro alleati ad allestire una«no fly zone»che divora milioni di dollari e non fa manco traballare il rais.
Il peggio arriva con l’illusione della«guerra perfetta » del 2003. Dopo la cacciata del dittatore arrivata dopo 40 giorni di guerra l’America è certa di aver fatto bingo. Invece è solo l’inizio di un altro conflitto. Ancor più devastante. Un conflitto che si prolunga, nella sua fase più acuta, fino al 2008, e costringe tutt’oggi gli americani a mantenere in Irak circa 50mila uomini. Gli errori, le sottovalutazioni e gli insuccessi di Somalia, Afghanistan e Irak erano e sono la miglior cartina di tornasole per individuare i rischi della guerra di Libia. Anche lì, come in Afghanistan, rischiamo nel caso di far i conti con i voltafaccia di alleati sensibili più al richiamo dell’integralismo e del fanatismo che non a quello dei valori occidentali.
Anche lì come in Irak rischiamo di non soddisfare aspettative capaci di trasformarsi in malcontento insurrezionale. Anche lì come in Somalia rischiamo di scoprire che il peggior dittatore era la miglior soluzione per una nazione votata altrimenti al disordine.
Eppure nessuno di questi insegnamentisembra influenzare le decisioni di chi tra Londra e Parigi cerca oggi di determinare gli esiti della guerra libica L’unica discriminante per scegliere tra l’eliminazione del rais o un’estrema trattativa sembra, in queste ore, quella della prima carta uscita. Ma la fretta di chi ci ha trascinato alla guerra e ci spinge a ora cercar di fuggirne senza troppe riflessioni rischia di trasformarsi in una nemesi. E condannarci a combatterla per molti anni a venire.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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