Anche se ha vinto Nicolas Sarkozy, con il suo progetto e la sua carica innovativa, non è inutile tentare una traduzione europea della sconfitta di Ségolène Royal. Comunque la si metta, la prima conclusione a cui arrivare è che Prodi e Zapatero rappresentano due eccezioni e che le parole «socialismo» e «sinistra» escono sempre più sbiadite dalle prove a cui sono sottoposte. Continua quel lungo processo di estinzione naturale che dal 1989 in poi ha incontrato tante conferme. Nei riflessi italiani al voto francese, non ha colpito tanto il fatto che Piero Fassino, Rosy Bindi ed Enrico Franceschini si siano attardati a rimpiangere la mancata quanto impossibile alleanza fra la gauche e François Bayrou. Hanno parlato solo di geometrie e formule del futuro Partito democratico. Ha colpito piuttosto una riflessione di Giuliano Amato, come sempre tra i pochi a capire. «Per vincere - questa la sintesi esplicita del suo ragionamento - dobbiamo imparare ad uscire dagli stereotipi». Ha colpito perché si è trattato di una frase impegnativa, con un solo significato. Questo: la sinistra deve ormai rinunciare ad essere se stessa.
Se non si vuol far solo retorica - e non è lo stile di Amato - riconoscere a Sarkozy il merito di aver allargato i confini del centrodestra e di aver saputo essere chiaro su grandi questioni come la sicurezza e l'immigrazione - e magari anche sul Sessantotto - significa solo ammettere che la sinistra, poco importa che la si chiami socialista o democratica, è incapace non tanto di comunicare quanto di proporre soluzioni. Che non ha un progetto di governo e di trasformazione della società. Che i suoi punti di riferimento e la sua cultura sono chiusi in un'area trincerata della politica, da dove poi si finisce con lo scoprire di volta in volta, anno dopo anno, che sono altri a capire ed a proporre le soluzioni giuste.
È una verità amara, soprattutto perché nell'Unione era diffusa l'illusione che le presidenziali francesi contribuissero a diradare anche il senso di provvisorietà che avvolge il centrosinistra italiano, mostrando che il Partito democratico non è una «fusione a freddo» e nello stesso tempo che l'orizzonte socialista continua ad essere visibile. C'era, appunto, la speranza che la Royal, con l'aiuto di Bayrou, dicesse che Prodi non è un'eccezione, così come non lo è Zapatero. L'illusione è svanita, la speranza è sfumata.
Così le due prove di sopravvivenza in corso a Madrid e a Roma restano la testimonianza di una residualità. Due esperienze dovute a circostanze particolari, l'uno nel trauma degli attentati dell'11 marzo e l'altro per una manciata di voti. Nessuna fondata su un progetto di innovazione ed entrambe sostenute essenzialmente da «stereotipi».
La vera domanda posta dall'analisi di Amato ha infatti una sola risposta: una sinistra capace di misurarsi con le scelte di Sarkozy e di condividerne l'ispirazione non sarebbe più lei.
Renzo Foa
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