«La Quercia ha deluso, via al partito democratico»

Luca Telese

da Roma

«Adesso bisogna fare il partito democratico. E cercare di finirla con il muro contro muro ad oltranza, cercare il dialogo, almeno sulle questioni istituzionali, con l’altra coalizione». Antonio Panzeri fa parte della pattuglia degli eurodeputati della Quercia a Bruxelles, ma viene da una vita passata nel sindacato, dopo aver esordito nell’«antica» corrente amendoliana del Pci. Si definisce un «riformista con il proprio pensiero» nei Ds: ha cinquant’anni, è nato a Bergamo. Dal 1995 fino a due anni fa è stato segretario della Camera del lavoro di Milano, la più importante del nord Italia, prima di essere eletto nell’Europarlamento.
Dopo lo scrutinio di Palazzo Madama è ovviamente soddisfatto per l’affermazione di Franco Marini e Fausto Bertinotti («Per uno con la mia storia, due sindacalisti tra il Senato e la Camera...»), ma allo stesso tempo apre una riflessione critica sul proprio partito: «È giunto il momento di chiedersi perché al nord i risultati elettorali continuano a non essere soddisfacenti».
Panzeri, cominciamo proprio da qui: perché il centrodestra continua a vincere le regioni più produttive del Paese, secondo lei?
«Inizio da una premessa, banale ma dovuta: non esiste solo un nord, ma molti nord, con domande e bisogni diversi, anche fra di loro. Poi un primo innegabile dato: ci sono stati dei gravi errori di comunicazione da parte dell’Unione, in questa campagna elettorale, su temi che più erano cruciali per queste regioni».
Citi quello che per lei è più importante.
«Il primo è innegabile: è stato quello fiscale».
Il secondo?
«La nostra posizione sulle infrastrutture. Abbiamo dato l’impressione di non raccogliere fino in fondo la domanda di una moderna rete di comunicazione interna, e della necessità delle infrastrutture allo sviluppo economico del Paese».
Siete stati più conservatori del centrodestra su questo?
«Non abbiamo risposto alla domanda del Paese più ricco, che ci chiedeva chiarezza su questo punto».
Passiamo al dato nazionale del suo partito. Molti storcono il naso, altri non negano che sia in parte deludente. Lei a quale categoria appartiene?
«Che sia deludente credo sia innegabile. Anche per un motivo, per così dire strutturale: c’è stata alla Camera una importante affermazione della lista unitaria. Un dato che va considerato ancora più importante, perché rispetto alle Europee mancava lo Sdi».
Sono due risultati collegati, vuol dire, il partito e la lista unitaria?
«Senza dubbio: rispetto alla presenza dell’Ulivo, che è molto più attrattiva anche su larghe fasce del voto giovanile, Ds e Margherita non riescono a suscitare gli stessi entusiasmi, a ricomporre la stessa somma, a superare un certo timore riformista, ad avere un’identità forte».
Lei è diventato un partigiano del partito democratico?
«Lo vedo come un processo naturale e necessario: siamo arrivati al dunque, bisogna scegliere con decisione quella strada, non si può più stare nel mezzo».
Vuol dire mettere in gioco le attuali identità?
«È l’unico per mettere in campo nuovo forze e nuove culture».
Ma non c’è il rischio di diventare un partito di opinione?
«Io voglio esattamente il contrario: penso ad un partito riformista strutturato e radicato e organizzato».
Ha in mente un nuovo leader?
«I nomi verranno: conta il progetto».
Tutto questo mentre il Parlamento è profondamente diviso in due.
«Il Parlamento è diviso perché lo è il Paese, perché il margine è risicato. Se si superano i vecchi equilibri si può e si deve recuperare un rapporto istituzionale corretto con l’altra metà del Parlamento. Proprio adesso, è necessario riaprire un confronto a tutto campo con l’opposizione».
Le diranno che è impossibile.
«Però non vedo alternative. Anche questi giorni di trepidazione ci hanno fatto capire che l’idea di andare avanti a strattoni è illusoria».
Molti suoi compagni di coalizione dicono che l’importante era vincere...
«È un errore. Io non so se nel voto a Marini c’è stata convergenza esterna.

Però sono sicuro che quel risultato non è ripetibile. Serve, ripeto, trovare delle convergenze».
Le diranno che lei è un inciucista?
«Sciocchezze: per la prima volta dal 1945 il centrosinistra ha il 50% del paese. Ora deve governare».

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