Questo Paese senza trasparenza

Viviamo in un sistema di potere sempre più opaco e sempre meno trasparente? C'è da chiederselo di fronte al susseguirsi di episodi che dovrebbero essere chiari e che invece vengono avvolti con reti di reticenze. Quando non con veri e propri polveroni e sbarramenti.

Se Maurizio Belpietro e Il Giornale si fossero lasciati intimidire il giorno in cui hanno pubblicato il nome di Silvio Sircana in prima pagina, se non avessero reagito come hanno giustamente fatto alla reazione corazzata dell'establishment, oggi non saremmo in condizione di conoscere quantomeno frammenti di verità su una storia di piccoli e grandi misteri. Probabilmente non limitata all'episodio delle foto del portavoce del governo, ma più lunga. In questi anni, non sono mancate le domande sull'uso delle intercettazioni telefoniche e sulle conseguenze che ci sono state. Non abbiamo avuto risposte. Tutto è continuato come prima, invocando il diritto formale alla conoscenza da parte dell'opinione pubblica, ma lasciando in una zona grigia meccanismi che hanno invece inciso sulla vita del Paese e di tante persone.

Ora siamo anche nel pieno della polemica sull'Afghanistan. Basta leggere le corrispondenze da Kabul pubblicate sui giornali stranieri, fortunatamente anche su qualche italiano, per capire che la tanto decantata «diplomazia dei movimenti» ha sì risolto l'angoscioso problema del ricatto sulla vita di Daniele Mastrogiacomo, ma ha pesanti conseguenze negative sul clima interno di una terra senza pace. Anche in questo caso, giustamente sono state poste molte domande sulla cessione di quote di sovranità per quel che riguarda la politica estera e sull'improvviso desiderio di trattare con i talebani, espresso dal segretario del più importante partito dell'Unione. Ma non ci sono state risposte convincenti. Anzi, si può dire che chi aveva il dovere istituzionale di spiegare si è ben guardato dal farlo, perfino davanti al malumore del ministro della Difesa.

Non vale neanche la pena domandarsi cosa sarebbe accaduto, quali cateratte si sarebbero aperte, se questi due episodi si fossero verificati a parti politiche rovesciate. Lo sappiamo, conosciamo lo «sdegno organizzato».
Ma non vale la pena domandarselo, perché c'è qualcosa di più profondo. Per anni in Italia è stato unto un «senso comune» secondo il quale l'essenza stessa della democrazia veniva messa in pericolo dalla sola esistenza del centro-destra. Si è giunti a sostenere che ne erano stati scardinati i requisiti attraverso un monopolio mediatico e cancellate le forme attraverso un'occupazione, che peraltro non c'è mai stata, delle istituzioni e dei centri di potere. Si è parlato di regime. Si è sostenuto che era stato divelto il «senso dello Stato».

È successo esattamente l'opposto. Pochi mesi di potere del centro-sinistra, e del blocco che lo supporta, sono bastati a creare un clima di opacità. Il rifiuto della trasparenza sta diventando un metodo di governo. Non solo non ci sono risposte chiare alle domande che vengono poste, ma sempre più spesso si ricorre ad un metodo populista per nascondere i problemi che vengono sollevati.

Ricordate la parola glasnost? Fu resa famosa nel mondo da Gorbaciov quanto cercò invano - perché non era possibile - di trasformare il totalitarismo in una democrazia. Significava appunto trasparenza. Dobbiamo abituarci ad un'Italia senza glasnost?

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