Al quinto anno di Colle Napolitano contagiato dalla sindrome Cossiga

Il capo dello Stato esterna, tra battute ironiche e interviste a raffica Proprio come il Picconatore al crepuscolo della Prima Repubblica

Al quinto anno di Colle Napolitano contagiato dalla sindrome Cossiga

Roma - Picconate no, eccessivo. Le frecciatine del Presidente? Le stoccatine del Colle? Le freddure di Napolitano? L’ultimo registro, scelto per le esternazioni del nuovo esternatore, è la battuta. Quella sul ministro vacante e sulla voce da «passare», ha fatto capire che qualcosa è cambiato, e che anche stavolta, dalle parti del Quirinale, si è abbattuta la sindrome del quinto anno. Dal presidente col silenziatore, perciò accusato ripetutamente di mutismo specie da sinistra, al nuovo Napolitano esternatore. Qualcosa è cambiato, colpa del quinto anno iniziato lo scorso maggio, che già aveva tramutato Cossiga in picconatore, dopo un quadriennio di moderazione quirinalizia. Evoluzione improvvisa che costringe anche i poveri cronisti a rivedere il vocabolario «napolitanesco». Il presidente, fino a qualche tempo fa, esprimeva «moniti», lanciava «appelli», se era di cattivo umore poteva «gelare» (meglio se il «gelato» era il governo o direttamente Berlusconi), soprattutto «richiama», richiama sempre Napolitano, e meno male che lo fa. Dietro il paravento istituzionale si intravedeva, fino a qualche tempo fa, una figura austera, che esterna per comunicati o note ufficiali. Ora, all’alba del quinto anno, esterna lui in persona, anche sotto forma di boutade. Gli esegeti si scervellano per decriptare questa metamormosi. Peppino Caldarola sul Riformista va sullo storico-psicologico, spiegando che non c’è mistero alcuno, come sa bene chi ha lunga frequentazione con la politica e col Pci, Napolitano è uomo dotato di «ironia pungente», con la quale «spesso azzittiva l’interlocutore». Strano piuttosto che l’ironia si fosse azzittita fino allo scoccare del fatidico anniversario. Altro caso di humor quirinalizio, meritevole di esegesi autorevoli, era stata la battuta sulla «fine che ha fatto la legge sulle intercettazioni». Qualcosa è cambiato, dev’essere l’aria del Colle, che dopo quattro anni impone una mutazione, un contatto più diretto col mondo. Cossiga confessò che abitare al Quirinale «è tristissimo», e anche a lui toccò in sorte il quinto (e sesto e settimo) anno da picconatore. Prima invece, incredibile a dirsi, era preso di mira per il contrario, per parlare poco o mai. Il vignettista di Repubblica lo raffigurava a quel tempo con il musone, mesto, il naso incollato alla finestra del Quirinale. Poi, il quinto anno, la trasformazione, come ora per Napolitano.
Certo, complice è lo stallo politico, con l’incertezza costante, voto o non voto, maggioranza nuova o vecchia, scioglimento oppure no, che porta a guardare al Colle come alla sibilla cumana per ottenere un pronostico attendibile su quanto ci toccherà nei prossimi mesi. E tira che ritira la giacchetta, normale che il proprietario della giacchetta prima o poi parli. Magari incuriosisce la modalità, veramente nuova. Dalle note formali alle interviste ai giornali. Prima all’Unità, quotidiano non casuale, poi ieri al Messaggero. Di interviste al capo dello Stato, in cinque anni, se ne possono contare con le dita di una mano sola, due solo nell’ultima settimana. Già dei preallarmi erano udibili e leggibili, un retroscena firmato dal direttore del Corriere Ferruccio de Bortoli, sul caso Brancher, chiaramente ispirato da Napolitano «l’esternatore».
Sì, ma a chi giova un presidente neo-picconatore? Per quanto super partes e garante supremo, è difficile pensare al centrodestra berlusconiano. Le ultime esternazioni anzi paiono una bacchettata dietro l’altra all’esecutivo, seppur sfumate: l’interim infinito allo Sviluppo economico, la «campagna dei veleni» su Fini, l’Italia che cresce poco, le istituzioni che devono sostenere la magistratura... E poi certo, l’improvvisa indole picconatoria (mutatis mutandis) proprio negli ultimi due anni, che si preannunciano di fuoco per la politica con le elezioni sempre dietro l’angolo, fa prevedere altrettante esternazioni degne di ampie riflessioni. L’umore di Napolitano è ben diverso da quello che manifestò durante lo spoglio alla Camera delle schede che lo avrebbero proclamato presidente della Repubblica: «Io sono atarassico» disse allora, riferendosi allo stato spirituale degli scettici greci, caratterizzato dalla totale imperturbabilità rispetto agli accadimenti della vita. Altro che atarassico sembra il Napolitano del quinto anno.

Finora si sorrideva per la sua somiglianza con Re Umberto, tanto che Forattini si inventò una vignetta con Marx all’Inferno che dice stupito a Stalin: «Gli italiani vogliono far tornare un Savoia al Quirinale!»). Col quinto anno, più che a Umberto II, Napolitano somiglia a Cossiga.

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