Raffaello e Castiglione: tutta l'arte del "Cortigiano"

Lettere, oggetti, dipinti... Un percorso per riscoprire il rapporto tra due grandi del nostro Rinascimento

Raffaello e Castiglione: tutta l'arte del "Cortigiano"

La mostra di Baldassarre Castiglione e Raffaello in palazzo ducale di Urbino (Baldassarre Castiglione e Raffaello. Volti e momenti della vita di corte, fino al primo novembre), si apre con il ritratto di Luca Pacioli, il grande teorico della geometria e della prospettiva con la sua Summa de Arithmetica del 1494, quando Raffaello aveva appena iniziato a dipingere. Immagino che il padre l'avesse messo con la grande passione, del figlio e sua, in bottega a sei o sette anni, che quindi ci siano dei suoi interventi dentro i dipinti del padre non riconoscibili. Nel 94 comincia già a dar segni della sua autonomia nelle prime opere che gli vengono attribuite a Città di Castello, e sicuramente a 11 anni entra nella bottega di Perugino e intanto studia quel capolavoro che è la Summa de Arithmetica, Geometria, Proportioni e Proportionalità sicuramente nata anche nello spirito di Piero della Francesca che è il suo maestro primo e vero. Con un padre così possessivo e prima di andare a Perugia, adolescente a Urbino, l'opera fondamentale, per lui è la pala di Piero della Francesca per la Chiesa di San Bernardino (ora a Brera), teorema di tutti i suoi pensieri. Sappiamo che lo zio era il custode della chiesa, quindi il bambino che, quando l'opera arriva, intorno al 70-72, non era ancora nato, già a 8-9 anni poteva andare in meditazione davanti a quella meravigliosa immagine per capire quello spazio sublime che lui trasporterà nell'opera sua più importante, la Scuola di Atene, dove c'è una solenne e grandiosa architettura che è un'espansione dell'architettura di Piero della Francesca nella Pala di Urbino. Quindi Urbino è comunque, attraverso quell'opera, la fonte di irradiazione di tutta la sua visione del mondo, la teoria prospettica di quello che si vede nella Pala è nel libro di Luca Pacioli. Lo vediamo nel capolavoro di Capodimonte, prestito difficilissimo, a fianco del suo libro Luca Pacioli, con un'ottima riproduzione di un tempio romano.

Baldassarre Castiglione arriva a Urbino nel 1504, l'anno in cui Raffaello dipinge il suo primo grande capolavoro a Città di Castello, lo Sposalizio della vergine, ora Brera. Aveva cinque anni più di Raffaello e veniva dalla corte di Mantova, nato nella bella proprietà di Casatico. All'età di dodici anni fu inviato, sotto la protezione del parente Giovan Stefano Castiglione alla corte di Ludovico il Moro signore di Milano, ove studiò alla scuola degli umanisti Giorgio Merula per quanto riguarda il latino e di Demetrio Calcondila per il greco. Qui conobbe Leonardo, attivissimo a fianco di Ludovico, nella musica, nella pittura, nella ingegneria. Castiglione si appassionò alla letteratura italiana, coltivando Petrarca, Dante, Lorenzo il Magnifico ed il Poliziano.

Nel 1499 tornò a Mantova al servizio di Francesco II Gonzaga, marito di Isabella d'Este. Lo seguì prima a Pavia e poi nuovamente a Milano dove assistette all'entrata trionfale di re Luigi XII di Francia il 5 ottobre 1499. Rientrato a Mantova, Baldassarre si prestò a servire il suo signore come funzionario marchionale. Nel frattempo Guidobaldo da Montefeltro, che aveva sposato Elisabetta Gonzaga, torna a Urbino riconquistata grazie al nuovo papa Giulio II. E Castiglione, per l'interesse della duchessa, ottenne di essere dispensato dal servizio alla corte gonzaghesca per trasferirsi a Urbino. Così, nel 1504, iniziò forse il periodo più fruttuoso e più felice della sua vita. Scrive Luigi Russo: «A Urbino il Castiglione s'incontrò con un comitato di persone egregie, quali innanzitutto le due nobili dame, la duchessa Elisabetta Gonzaga e madonna Emilia Pio, cognata della prima, e poi con uomini d'ingegno come Ottaviano Fregoso... Federico Fregoso poi arcivescovo di Palermo, Cesare Gonzaga, cugino del Castiglione, Giuliano de' Medici, il minore dei figli di Lorenzo il Magnifico». E ancora Ludovico di Canossa e il cardinale letteratissimo Pietro Bembo. Alla corte urbinate, oltre alle missioni diplomatiche e alle imprese belliche, il Castiglione poté interpretare la vita cortigiana dedicandosi alla letteratura e al teatro. Si occupò nel 1506 dell'allestimento prima dell'egloga Tirsi, nel 1513 de La Calandria, l'opera teatrale dell'amico e futuro cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena, «in prosa, non in versi; moderna, non antiqua; vulgare, non latina».

La stessa messinscena, in collaborazione con il più celebre scenografo del suo secolo Girolamo Genga, introduce la cosiddetta scena di città con una scenografia prospettica e dove appaiono, per la prima volta, quinte praticabili con vedute della città di Roma dove la commedia è ambientata. Molte furono le ambascerie in Inghilterra, in Francia, a Roma di Castiglione, fino ad assumere l'incarico di podestà di Gubbio. Castiglione partecipò anche alle imprese belliche del papa guerriero, per esempio l'assedio della Mirandola o la presa di Bologna da parte delle truppe urbinati. Così gli fu concesso il 2 settembre 1513 il Castello di Nuvilara nel Pesarese, con il titolo di conte.

Nel 1513 raggiunse Raffaello a Roma, alla corte di Leone X, come ambasciatore del Duca Urbino. Sempre a partire dal 1513 Castiglione iniziò la stesura del Cortegiano. Purtroppo, la politica del nuovo pontefice, lo costrinse a nuovi destini. Leone X, infatti, desideroso di elevare la sua famiglia, dichiarò decaduto il duca Francesco Maria a favore del nipote Lorenzo II. L'installarsi dei nuovi signori, la fuga del duca a Mantova e la dichiarata fedeltà alla causa roveresca da parte del Castiglione lo costrinsero a lasciare Roma per far ritorno nei suoi vecchi domini di Casatico, e proseguire la sua attività di cortigiano alla corte dei Gonzaga, ritornando a Roma nel 1519 su incarico di Federico II Gonzaga presso Leone X, all'ultimo anno di pontificato.

Rimasto vedovo nel 1520, Castiglione si fece prete per provvedere ai suoi bisogni materiali. Mandato a Roma al conclave che elesse Adriano VI con la speranza che venisse nominato pontefice il cardinale Scipione Gonzaga, Castiglione servì Federico Gonzaga, come cortigiano e comandante militare.

Fu Clemente VII, nel 1524, a elevarlo a Nunzio apostolico in Spagna presso l'imperatore Carlo V. La missione non era delle più facili, in quanto il giovane imperatore era in lotta con il re di Francia Francesco I per la supremazia in Italia. Sconfitto il re di Francia nella battaglia di Pavia del 1525, Clemente VII, che si era alleato con i francesi, fu invaso dalle truppe spagnole e tedesche con il sacco di Roma del 1527. Castiglione fu accusato ingiustamente dal papa di non aver saputo prevedere l'evento.

Gli ultimi anni li dedicò alla stampa del Cortegiano, uscito a Venezia per interesse del Bembo nel 1528. Muore l'anno dopo a Toledo. In mostra, con i libri della sua biblioteca, e il manoscritto del Cortegiano, troviamo alcuni oggetti di collezione e d'uso che potevano essere tra quelli di Castiglione. Un'armatura da torneo viene dal museo di Torino e allude all'impegno militare, cioè alla corte con tutte le sue connessioni ai diversi mondi. Poi gli abiti, nella meravigliosa ricostruzione della collezione Bertoli ispirata all'abito di velluto nigro indossato da Beatrice d'Este nel ritratto di Bartolomeo Veneto. Poi, medaglie di Gian Cristoforo Romano, con le effigi di Isabella d'Este e di Francesco II Gonzaga.

Il rapporto con Raffaello gira intorno alla lettera che Baldassarre Castiglione scrive per conto di Raffaello che lo ispira, a Leone X esortandolo alla conservazione dei monumenti antichi. Molti documenti vengono dall'archivio Castiglioni venduto dagli eredi allo Stato, nel 2017. Le notevoli lettere di Castiglione furono per la prima volta date alla stampa nel Settecento dal Serassi. In esse egli appare al centro di un mondo, di una quantità di personalità che hanno costituito il nostro Rinascimento. Ed ecco le Prose della volgar lingua, del 1525, il libro in cui si stabilisce la grammatica della lingua italiana che è la lingua toscana di Petrarca e di Boccaccio; Raffaello era morto da 5 anni. Poi, a partire dalla mattonella con l'impresa dei Gonzaga, della Bottega di Antonio Fedeli della fine del Quattrocento, inizia l'esposizione degli oggetti, una vera e propria Wunderkammer, con almeno 70 oggetti meravigliosi, provenienti da collezioni straordinarie che rappresentano il gusto delle corti: marmi antichi, marmi moderni, bronzi, bronzetti, cofanetti in avorio e in pastiglia, medaglie, di cui abbiamo le fonti, come ha indicato Elisabetta Soletti, che li registrano, come i libri ricordati nel testamento, di proprietà di Baldassarre Castiglione. Sono le vestigia della condizione del Cortegiano: Doti fondamentali su cui si deve poggiare il cortigiano per Castiglione sono la grazia e la sprezzatura. La grazia del cortigiano, propria di una specifica classe aristocratico-nobiliare è essenziale alla vita di corte in quanto «la grazia, le maniere gentili e amabili sono dunque le condizioni che permettono al gentiluomo di conquistare quella universal grazia de' signori, cavalieri e donne».

Come scrive Maria Teresa Ricci, «la grazia appare dunque come una specie di abilità che ha per scopo di piacere e convincere. Il cortegiano, come l'oratore, deve saper commuovere, persuadere, convincere gli altri. Egli deve essere in grado di dare sempre una buona opinione di sé».

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