Quel Raffaello "in love" era cotto della Fornarina

Nel romanzo di Pierluigi Panza la modella è dipinta come una donna molto moderna

Quel Raffaello "in love" era cotto della Fornarina

Nel mio ultimo articolo su Raffaello, per Il Giornale mi interrogavo sulla sua morte e sui suoi amori, indagando nelle molte contraddizioni, attraverso le reticenti ammissioni di Giorgio Vasari. Vasari dice: «Il quale Raffaello, attendendo in tanto a' suoi amori così di nascosto, continuò fuor di modo i piaceri amorosi, onde avvenne ch'una volta fra l'altre disordinò più del solito; perché tornato a casa con una grandissima febbre, fu creduto da' medici che fosse riscaldato; onde, non confessando egli il disordine che aveva fatto, per poca prudenza, loro gli cavarono sangue; di maniera che indebilito si sentiva mancare, là dove egli aveva bisogno di ristoro».

Ora, uno scrittore innamorato e curioso, Pierluigi Panza, cui sta stretto l'abito di critico d'arte, affronta l'argomento nell'unico modo possibile: la fantasia, che talvolta soccorre anche lo studioso, ma che è propria del narratore. Così, il suo libro Un amore di Raffaello (Mondadori) non è un romanzo, anche se l'evidenza dei protagonisti lo rende tale, ma la ricostruzione di giornate, istinti, pensieri di donne, turbamenti dì Raffaello. Ecco come si presenta Ghita, Benedetta Luti, detta la Fornarina: «Nascere donna è un inganno del destino al quale non si può sfuggire: peggio del peccato è la donna e peggio della donna non so cosa ci sia, perché dicono che sia la porta del diavolo». È di lei che si innamora Raffaello. Vedete come Panza umanizza i suoi personaggi: «Nei giorni dopo la processione stavo dietro la tenda della finestra per vedere se il pittore passava. E quando passava mi affacciavo. Lui alzava lo sguardo. Allora arrossivo, andavo in confusione e mi ritraevo. Non c'era modo di parlargli». Ed eccola interpretare la parte della Madonna sistina, fresca, semplice, di disarmante bellezza: «Non avevo mai creduto veramente in me stessa, ma in quel momento sentii che stavo diventando qualcosa, qualcosa di diverso dalla figlia del fornaio di Trastevere. Ero a lato del cavalletto sopra il quale era posato il quadro. Lui prese il pennello, lo intinse nella chiazza di colore chiaro che aveva mischiato sulla tavolozza che stringeva in mano e lo passò più volte alla base del mento della Vergine. Mi piace quella fossetta sorrise». Poi l' avvertimento di uno sguardo: «Riprese a osservarmi. Questa volta lo tradì uno sguardo languido. Gli piacevo. O, almeno, questo era ciò che sentivo. Sarebbe stato meglio di qualsiasi indulgenza se si fosse avvicinato, sfiorandomi la mano o la spalla, sconsacrando quella distanza che c'era tra lui e la sua pudica modella, così che potessi abbandonarmi senza timore».

È così Panza: capace di dare parole a un ritratto intimo e misterioso, nel quale trova le emozioni, i sentimenti semplici, traducendoli in un racconto psicologico: «Restai immobile. Ero attraversata da brividi. Con i peli del pennello mi sfiorò le mani, poi le guance lisce. Poi se lo mise nella tasca del grembiule e mi sfiorò con i polpastrelli. Una lama mi trapassò le viscere. Mi accarezzò il viso, più volte, prima che le sue labbra si incollassero alle mie, le stesse che aveva dipinto. Per dipingere bene le labbra devo sentirle rise. Era la prima volta che baciavo un maschio e lo facevo con amore. Mi prese tra le braccia, mi sollevò leggermente da terra accostando il suo viso al mio e, di nuovo, mi baciò. Poi mi strinse. Finsi di ritrarmi. Ma non volevo».

Inizia così la storia d'amore che Panza ricostruisce con una puntualità minuziosa, raccontando di abbracci e di amplessi, di carezze e di baci, di sottomissione e di devozione, di impulsi ed emozioni, di paure e di desideri. La vita di Raffaello passa attraverso i pensieri della Fornarina. Con i suoi occhi vediamo il Cardinale Bernardo Dovizi da Bibiena, Fedra Inghirami, Papa Leone X. Viaggi, amici, avventure, cardinali. E poi, fuori dal Vaticano, gli affreschi mirabili delle Sibille per la chiesa di Santa Maria della pace, subito dopo il trauma della visione di Michelangelo nella cappella Sistina. Chi sono le Sibille? Le cortigiane di Roma. La vivacità del racconto di Panza ci fa credere che tutto sia vero. Il punto di vista della Fornarina consente di trovare in ogni quadro una luce nuova. Ecco La Velata, ancora lei; e la bella interpretazione formale di Panza che si sovrappone alle riflessioni istintive della donna. Molto vivido il dialogo tra Raffaello e la Fornarina sulla promessa sposa Marietta, nipote del Cardinal Bibiena. Attraverso i pensieri di Ghita, Panza scioglie ogni incertezza sulle parole di Vasari sul pittore che «non poteva molto attendere a lavorare per l'amore che portava ad una sua donna»: «Ero stata rapita dal proprietario di quella villa per costringere Lello a fermarsi lì e proseguire i lavori. Avevo preso una gran paura; ma ora che tutto era passato mi sentivo lusingata. Mi avevano presa perché lui tornasse a dipingere anziché darsi per malato. Il mio timore si era trasformato in piacere e in quel momento ogni cosa mi sembrò diversa da come avevo creduto potesse essere».

Poi c'è l'intimità, la vita di cortigiana, la certezza di essere amata più della minacciata moglie Marietta, i dettagli sulla cura del corpo, sui bagni, sui capelli lavati e sulle belle mani, i dialoghi con le altre donne, il confronto con loro, la sublimazione del ruolo di cortigiana, la preghiera, la fede. Il racconto di Panza è denso e vivo, anche se si muove in un mondo piccolo in cui le donne hanno un ruolo sotterraneo ma determinante, necessario. Poi la confessione, perfino melodrammatica: «Ero cresciuta. Non mi illudevo più, cercavo di convincermi che le mie ambizioni dovevano essere diverse da quelle di Marietta. Con Lello avevo conosciuto un'altra Roma, non quella delle strade fangose intorno al porto, dei vicoli di Trastevere. Avevo visto il palazzo del papa, le feste nei giardini e le tavole imbandite, le sculture che non capivo, le commedie, il carnevale, ma soffrivo di quel suo troppo amore per le altre femmine. Soffrivo per Marietta la sposa, capivo che non sarei mai stata moglie...». Vero e verosimile in Panza si confondono come in ogni narratore. La figura di Fornarina si costruisce lentamente e appare centrale nell'esperienza di Raffaello. Bella la descrizione delle taverne di Roma la sera, e delle locande della Vacca e di vicolo del Gallo, del Biscione a Tor di Nona, del Leone piccolo e del Leone grande.

Raffaello artista passa in secondo piano, e Panza illumina il mondo umano e le scene delle sue giornate, oltre la pittura. Intanto, con il racconto della vita, c'è anche la descrizione delle opere. Ed ecco Ghita di fronte al profeta Isaia nella chiesa di Sant'Agostino: «Lo sguardo del profeta era cattivo, sembrava mi richiamasse. Era una figura vigorosa e non pareva dipinta da Lello, piuttosto da Michelangelo. Lello l'aveva fatta apposta così per dimostrare che era anche capace di dipingere a quella maniera, che tuttavia considerava priva di grazia». Arriva poi la morte: è quella di Marietta; e con essa l'inattesa pietà: «Fui sorpresa nel provare per lei un senso di commiserazione. L'avevo odiata, spiata, cercato a lungo un suo ritratto per sfregiarne il volto: non lo avevo trovato. E ora che se ne era andata, la sentivo come una sorella, una sorella che lasciava prima del tempo il campo di battaglia. Adesso che lei non c'era mi scoprivo più sola».

Il momento in cui Fornarina entra definitivamente nella vita di Raffaello è quello del celebre ritratto in cui lui parla con la pittura e lei risponde con le parole di Panza: «Intorno al mio braccio sinistro, ben in vista, aveva dipinto un bracciale come segno di sua appartenenza. Era un bracciale blu e oro, come i colori del copricapo orientale. Mi aveva detto, un giorno, che anche lo stemma della sua famiglia aveva un fondo blu. Aveva usato il lapislazzuli o lo smaltino veneziano. Con un pennello dai crini finissimi stava scrivendo sul bracciale il proprio nome: RAPHAEL VRBINAS. Ero legata a lui. Quel bracciale, stretto intorno alla carne del mio braccio, mi faceva sua. Ero come una cortigiana, una schiava, è vero, ma dell'amore, e quel quadro così osceno mi faceva anche sposa. Sua sposa. Quando osservai l'anello che mi aveva dipinto all'anulare sinistro non potei trattenere le lacrime, e piansi». È il punto più alto dell'amore.

Poi torna la morte. Ed è quella di Raffaello, descritta con sintesi e pudore da Vasari. Fornarina perde tutto, la descrizione delle ultime ore ha la cadenza del Requiem mozartiano. Ma il dialogo tra il corpo morto di Raffaello e il Cristo della Trasfigurazione allontana qualunque residuo di pettegolezzo e anche di mortificazione per lei, fra le tante donne con le quali Raffaello aveva potuto avere commercio. Degli amori terreni non resta più nulla. La Fornarina è destinata al convento, i piaceri della vita sono calore di fiamma lontana: «La mia vita è finita, la bellezza di Roma è finita. E con la bellezza è finito il mondo». Oltre il tempo restano, in quel teatro della morte, le parole di Vasari: «Poi confesso e contrito finì il corso della sua vita il giorno medesimo che nacque, che fu il venerdì santo d'anni XXXVII, l'anima del quale è da credere che come di sue virtù ha abbellito il mondo, così abbia di sé medesima adorno il cielo.

Gli misero alla morte al capo nella sala, ove lavorava, la tavola della Trasfigurazione che aveva finita per il cardinale de' Medici, la quale opera nel vedere il corpo morto e quella viva, faceva scoppiare l'anima di dolore a ogni uno che quivi guardava».

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