Raffinerie, ripartono gli investimenti

Secondo il «Wall Street Journal» ci sono cento progetti in tutto il mondo, tranne che negli Usa

da Milano

Fuori dagli Usa si sta registrando un vero boom degli investimenti sulle attività di raffinazione: circa 100 progetti in campo che entro la fine del decennio dovrebbero consentire un aumento delle capacità produttive di 12 milioni di barili al giorno sui prodotti raffinati. Lo scrive il Wall Street Journal, che tra i gruppi europei più attivi cita l’Eni. Il mondo va avanti mentre negli Stati Uniti non si fanno progressi: «Un’evoluzione che per gli anni a venire potrebbe rendere gli Usa più dipendenti dalle importazioni di prodotti come la benzina e il gasolio da riscaldamento», avverte il quotidiano, che cita cifre elaborate dalla società di consulenze scozzese Wood Mackenzie. Ad animare l’interesse per il rafforzamento delle capacità di raffinazione è la crescente domanda globale, dice il Wall Street Journal, sospinta dalla rapida crescita di Cina e India. Tra i piani più ambiziosi vi è quello dell’Arabia Saudita. Ma non solo: «Gruppi europei come la Repsol Ypf e l’Eni - si legge - hanno anch’essi un atteggiamento intraprendente sulla raffinazione».
Nel frattempo le compagnie americane, Paese che è di gran lunga il primo consumatore mondiale, continuano a non fare progressi sulla costruzione di nuovi impianti di raffinazione, nonostante l’incremento dei prezzi di benzina, kerosene e combustibili per riscaldamento.

Se diverse società stanno aumentando le capacità degli impianti esistenti, osserva il Wsj, nessuna si appresta a costruirne di nuovi. È dal 1976 che negli Usa non vengono costruite nuove raffinerie, a causa di margini di profitto storicamente bassi e per la resistenza opposta dalle comunità locali.

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