Vi ricordate il mitico film del 1957 Il principe e la ballerina con Marilyn Monroe e Laurence Oliver? Una deliziosa favola in cui il reggente della Carpazia, immaginario staterello europeo, s'innamorava perdutamente di una splendida showgirl e per sposarla rinunciava allo scettro. Una fiaba romantica quanto inverosimile. O forse no. Lo scorso 6 gennaio il quarantanovenne Muhammad V, re elettivo della Malaysia e sultano di Kelentan - un piccolo territorio ai confini con la Thailandia - ha salutato i suoi sudditi ed è partito in viaggio di nozze con Oksana Voevodyna, già miss Mosca, una travolgente bellezza russa di 25 anni.
I due colombi si sono sposati a fine novembre con una doppia cerimonia, prima nel sultanato e poi in Russia; subito dopo il re si è preso una pausa per «motivi di salute» ed è sparito dai radar; a gennaio uno striminzito comunicato - «Sua Maestà dice al popolo di continuare a rimanere unito e tollerante e lavorare insieme» - a sigillare l'improvvisa abdicazione.
L'inattesa decisione del coronato sposino ha scandalizzato i molti bigotti, alimentato i gossip e scosso le complicate architetture statuali. La Malaysia è infatti una federazione di tredici stati di cui nove governati da sultani e raja che ogni cinque anni eleggono un sovrano, lo Yang Pertuan Agong. Muhammad era stato incoronato due anni fa dopo un'aspra battaglia familiare: nel 2009, approfittando di un ricovero in ospedale, aveva detronizzato il padre Ismail e poco dopo cacciato il fratello minore. Ne seguì una serie di aspre liti nei tribunali e, alla fine, la corte costituzionale approvò la successione, aprendo al neosultano le porte del consiglio dei regnanti, anticamera del trono, poi conquistato nel 2017. Così i nove monarchi si sono riuniti nuovamente per scegliere il successore del re innamorato e hanno eletto il sultano Abdullah di Pahang
Tutto bene. No. A sua volta la dynasty principesca s'intreccia con una situazione politica terribilmente complicata. Con buona pace dei feudatari, a Kuala Lumpur il vero potere è di nuovo in mano a una strana coppia, due personaggi che da anni si accompagnano, si detestano, si abbracciano, si odiano, si riconciliano... Si tratta di Mahathir Mohamad e Amwar Ibrahim, gli uomini forti di ieri e di oggi. Il loro rapporto è una continua giostra, un saliscendi incredibile. A 93 anni Mahathir è il più anziano primo ministro del mondo: premier della Malaysia per 22 anni di fila (dal 1981 al 2003), emarginato dal palazzo nel 2009 da Najib Razak, uno dei suoi eredi, ha riconquistato il potere il nel 2018 alla testa del Pakatan Harapan (Alleanza per la speranza), il suo partito personale creato in odio alla coalizione del Barisan Nasional, (Fronte nazionale) da lui fondata e poi abbandonata.
L'uomo ha un carattere ferrigno e spigoloso. Nella prima fase della sua lunghissima esperienza di governo Mahathir si distinse per la sua accesa xenofobia antioccidentale - in particolare contro l'ex potenza coloniale britannica - e l'odio verso Israele. Atteggiamenti provocatori accompagnati da una deriva autoritaria, ritmata da censure sulla stampa e ripetuti arresti di oppositori ma anche di «fedelissimi» troppo ambiziosi come Amwar Ibrahim, vicepremier e ministro delle Finanze tra il 1993 e il 1999. Un bel giorno il boss si stufò del suo intraprendente collaboratore e lo spedì in galera con l'accusa di corruzione e sodomia, pratica proibitissima in Malaysia. Scarcerato nel 2004 Amwar divenne il principale oppositore di Mahathir e del suo nuovo successore Najib Razak e nel 2015 finì nuovamente in galera (sempre con le stesse accuse). Ma le tortuosità malesi sono leggendarie: invecchiando e dopo avere litigato con Razak, Mahathir ha scoperto le gioie della democrazia e si è proposto come l'alfiere delle libertà e dei diritti proprio contro il blocco di potere da lui creato. Una «conversione» stupefacente ma, visti i risultati elettorali e la sconfitta catastrofica dell'ingrato erede, pagante e vincente. Nella vittoria il premier novantenne si è dimostrato generoso e ha deciso di recuperare dal carcere l'altro suo figlioccio troppo impertinente. Detto fatto. Lo scorso ottobre Amwar Ibrahim (graziato e riabilitato) è nuovamente deputato e fiancheggia con entusiasmo il suo antico mentore (e accanito persecutore). Nulla di strano per i malesi: con l'ennesima piroetta i due ex irriducibili nemici si sono accordati per un passaggio di potere entro due anni. Vedremo. Laggiù nulla è definitivo...
L'inaffondabile duo ora deve gestire sfide cruciali. Con 31 milioni d'abitanti e un Pil tra i più alti dell'Asia, la Malaysia è da tempo nel mirino di Pechino che mira a inglobare la federazione nelle «nuove vie della seta». Per Mahathir e socio un'opportunità ma anche un rischio e forse una trappola. A scanso d'equivoci, all'indomani della sua rielezione il venerando premier ha subito fissato una netta discontinuità con le politiche del suo predecessore - non a caso accusato d'avere intascato dai «mandarini rossi» ricche tangenti - e ha bloccato gli investimenti cinesi considerati «una nuova forma di colonialismo. Non vogliamo diventare uno Stato-cliente». Assieme alla sospensione dei rapporti commmerciali da Kuala Lumpur sono giunti ripetuti moniti contro la «militarizzazione» delle acque prospicienti il Borneo malese e, ennesimo segno d'autonomia, generose e ripetute aperture verso il Giappone di Shinzo Abe, la «bestia nera» di Pechino, e gli Usa di Trump.
Una partita in pieno movimento e dagli esiti imprevedibili. In casa e sul fronte esterno.
La Cina è potente, gli equilibri interni rimangono fragili e le nuove generazioni sono inquiete. Di certo una situazione troppo complicata, troppo stressante per il pigro Muhammad V. Molto meglio allora i baci di miss Mosca e una lunghissima vacanza.
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