«Il Real ci ha cambiato la vita Nella Juve formato famiglia segno io, ma occhio a Nedved»

nostro inviato a Torino

Voce sottile e fisico da quattrocentista, magari da modello. In testa quel pizzico di sapor d’Africa, poi questa doppia personalità: in campo meglio stargli alla larga, fuori Mohamed Sissoko ha una vena da dolce romantico. Racconta: «Ho scelto di giocare con la nazionale del Mali, anziché con la Francia dove sono nato, perché in quei posti ho visto cose troppo belle: la gente che ti abbraccia col viso felice, ho visto piangere per me». Spiega l’altra faccia: «In campo, sono un cacciatore di palloni: li rubo agli avversari». L’anno scorso misurò San Siro, portando a casa palloni e vittoria. Ricorda? «Ricordo, eccome». Si sofferma sui fatti: il gol di Camoranesi, quello di Trezeguet, i pasticci di Burdisso. «Quest’anno sarà difficile, ma possiamo tentare, soprattutto se giochiamo compatti come nelle ultime partite».
Risultato?
«Vince la Juve 1-0, gol di Sissoko».
Giusto perché i gol non sono la sua specialità...
«Appunto, meglio segnare reti importanti. Gliel’ho detto: rubo palloni, vado a contrare le occasioni avversarie».
Tranne nel periodo del Ramadan: non mangia e fisicamente va a terra.
«Storie, non ho mangiato per due giorni. Non l’ho fatto, come si raccontava. Non stavo bene. Tutto qui».
Stavolta avrà gran lavoro...
«Il centrocampo dell’Inter è ben messo: Vieira fisicamente impressionante, Cambiasso intelligente, ma credo giocherà anche Muntari».
Lei è il nuovo Vieira...
«Mi fa piacere l’accostamento. Mi fa piacere che la gente pensi bene di me, sono qui per questo. Vieira è bravo, ma... Sono Sissoko e spero di lasciare un segno».
Ora gioca con Tiago, non siete male...
«Ci integriamo bene: io sono un 6, lui è un 8. Tecnicamente c’è buon feeling».
Inter-Juve conta di più per voi o per loro?
«Loro hanno più pressione addosso. Noi vogliamo vincere, però se non va bene, non ci cambia la vita».
Ibrahimovic vale mezza Inter?
«Non è mai uno solo che fa la squadra. Lui conta molto, ma ci sono altri».
I nomi?
«Dico Julio Cesar, Vieira, anche Muntari. Poi Ibra fa la differenza».
Chi la fa di più tra lui e Del Piero?
«Del Piero è nato per far gol e questo conta molto. Ibra è impressionante per la forza, ha qualità tecnica».
Parlando di gol: da quando è fuori Buffon, la Juve ne prende pochi...
«Siamo una squadra molto compatta. Ora fisicamente stiamo bene, la prima vittoria con il Real è stata la svolta. Credo che, alla lunga, il nostro obiettivo sarà il campionato».
Ha giocato in Francia, Spagna, Inghilterra, cosa pensa di quanto ha detto Mourinho: la serie A non tira?
«Da giocatore la vedo diversamente. Quando vai bene in Italia, puoi giocare ovunque. Il campionato italiano è il più difficile. In Spagna le squadre giocano calcio tecnico e basta. In Inghilterra pensano al gioco veloce e il pubblico è fantastico. Guardi, l’Anfield Road era spettacolare. In Italia conta molto la tattica: io mi diverto e sono felice».
Dica la sua su Mourinho...
«È intelligente. Provocatore? Penso faccia di tutto per attirare su di sé la pressione e lasciare in pace la squadra».
Viste da fuori, com’erano Juve e Inter?
«L’Inter era la squadra dei Palloni d’oro: da Baggio a Ronaldo. Insomma la squadra delle stelle. Invece parlerei della Juve vista da dentro: c’è uno spirito di famiglia, mi piace. Così si vince».
L’uomo più imprevedibile della Juve?
«Nedved. Per cinque minuti non lo vedi, poi rispunta e va al tiro o scompiglia gli avversari sulla fascia».
Quello dell’Inter?
«Oltre a Ibra, penso Adriano. Gli ho giocato contro: è forte, ha qualità. Ma deve decidere cosa vuol fare della vita. Se vuoi essere calciatore importante, da Pallone d’oro, devi star bene fisicamente anche fuori del campo e comportarti di conseguenza».
La sua Italia è razzista?
«Prima di venirci, ne sentivo parlare in Tv. Ero preoccupato. Invece non ho avuto problemi. Anche a San Siro. Però, quando vado in campo, mi tappo le orecchie e non ascolto niente».
Ha qualche problema con gli arbitri?
«È diverso rispetto all’Inghilterra, dove ti lasciano giocare: qui fischiano tutto. E per me non è facile: ora cerco di frenarmi ma non posso snaturare il mio gioco, le qualità sono quelle. Come capita a Ibra: noi siamo grossi e alti, quando ti viene un piccoletto fra i piedi è normale che quello salti per aria».
Lei che l’ha già fatto, consigli ad Amauri quale nazionale scegliere.
«Deve andare dove lo vuole la gente. Se l’Italia lo cerca, giochi per gli azzurri».
Si è mai pentito della sua scelta?
«Prima ero incerto, ora sono felice. Ho scelto con il cuore e mi sento molto orgoglioso».
Al Mali ha dedicato altro, non solo una scelta di maglia...
«Sto facendo costruire un orfanotrofio e una scuola.

L’ho deciso tre anni fa, quando ci ho messo piede. Ho visto bambini di 6-7 anni per la strada. Non c’era niente, neppure una scuola dove mandarli. Mi ha dato fastidio, non l’ho trovato giusto. Se posso, cerco di dare un aiuto».

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