Red Road, ecco lo psicodramma di una vendetta

Salvatore Trapani

da Cannes

Girato a grandi altezze (un palazzo di oltre trenta piani) ma a portare così in basso (un sobborgo londinese) Red Road di Andrea Arnold, in concorso a Cannes.
Una giovane guardia di sorveglianza (Kate Dickie) con camere nascoste riconosce nella porzione di quartiere sotto controllo, l'uomo (Tony Curran) che qualche anno prima - imbottito di crack e alcol - ha travolto la figlioletta e il marito uccidendoli. Ossessionata dall'odio può architettare la sua vendetta... Al sicuro nella sua postazione di monitor, lo segue per settimane, giorno e notte, in ogni angolo della città e in ogni movimento, sperando di incastrarlo a rubare o a spacciare. Ma a parte qualche visita a prostitute, lui non si cimenta in vere azioni illecite. Perse le speranze lei scende in campo. Lo pedina fino a casa con una bella vista sulla città, ma sporca e pieno di cicche; si autoinvita ad un party e fa di tutto perché lui si invaghisca. Scopre anche che ha una figlia. Lentamente, come da manuale, si fa corteggiare fino a che recita il ruolo di colei che cede suo malgrado alle avance.
Poi si colpisce in piena faccia con una pietra e lo denuncia per violenza carnale. Ma dopo l'arresto dell'uomo, oppressa dal senso di colpa, detta la verità che lo fa scagionare.
Per chiedere scusa alla figlia di non essere riuscita a vendicarla fino in fondo, riempie i suoi vestitini di cotone idrofilo e abbracciando il pupazzo scoppia in lacrime... Poi va a cercar conforto dai genitori di lui.

Quanto narrato con linearità, succede nel film senza che lo spettatore capisca che cosa la donna voglia fare, perché filma con tale costanza l'uomo e le sue compagnie, e a rendere più difficile il gioco per il pubblico, ci si mette un frastornante sibilo inframmezzato da tonfi metallici ogniqualvolta la vittima entra nel campo visivo della camera. Sì, perché estenuato dalla suspense, per paradosso, il pubblico inizia a dubitare della sanità mentale di lei e a provare simpatia per lui.

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