Il regime ammette i brogli ma non cede I pasdaran: pronti a un bagno di sangue

Le hanno sparato di nuovo. L’hanno uccisa una seconda volta. Le hanno negato candele, preghiere e ricordo affogando in un mare di gas i mille coraggiosi scesi a salutarla, sprangando e arrestando i ragazzi riunitisi per piangere il suo volto insanguinato. Doveva essere l’ultimo addio a Neda, è stata un’altra furiosa caccia al manifestante, l’ennesimo carosello di volontari basiji e agenti in moto pronti a travolgere e randellare chiunque pur di cancellare proteste e commemorazioni. Così Neda Sultani, la 27enne impiegata di una linea aerea uccisa sabato da un proiettile sparato dalle forze di sicurezza mentre assisteva con il padre alle manifestazioni dell’opposizione, se ne va da sola e in silenzio. Viene sepolta dopo una cerimonia in un’isolata moschea chiusa al pubblico e circondata dalle forze di sicurezza.
Le sopravvivono, più forti del suo corpo, lo sdegno, la rabbia, l’indignazione per la sua morte filmata da un telefonino, per quegli occhi strabuzzati nel cielo trasformati in un atto d’accusa al regime. Sentimenti capaci di muovere studenti, adulti e anziani, spingendoli a sfidare le migliaia di scudi, manganelli e corazze di plastica dispiegati intorno a piazza Haft e Tir e alla sua stazione del metrò. Di qui non si passa sembra dire l’immensa testuggine scura delle forze di sicurazza; eppure loro, i figli della nuova rivolta, i fratelli e le sorelle di Neda non si tirano indietro. Avanzano a piccoli gruppi, tenendosi per mano guardandosi l’un l’altro, proteggendosi a vicenda come consigliano gli avvisi su Twitter. Ma quando la testuggine si muove c’è poco da fare. Le moto caricano, roteano intorno ai ragazzi, li imprigionano in un uragano di bastonate, di colpi mozzafiato inferti con quei manganelli elettrici capaci di lasciarti stordito e senza fiato. Poi arrivano i gas a volte sparati, a volte sganciati dagli elicotteri. Sono i più pericolosi, i più temuti. Gas cattivi, perniciosi, studiati per farti vomitare e urlare, per piegarti e lasciarti distrutto per due giorni.
Ma il peggio forse deve ancora venire. Così almeno fanno capire i pasdaran. Un loro minaccioso comunicato, diffuso ieri mattina, ordina ai dimostranti di «mettere fine agli atti di sabotaggio e ai disordini», definisce le loro manifestazioni e le loro attività come una cospirazione contro l’Iran. «Tenetevi pronti - recita il comunicato - ad un confronto risolutivo con i Guardiani della Rivoluzione, i volontari basiji e le forze della disciplina».
L’infittirsi delle minacce preoccupa anche Hussein Moussavi. Il 67enne candidato alla presidenza trasformatosi nel capofila della rivolta e accusato da molti esponenti delle forze di sicurezza di istigare alla rivolta teme ora di finire in galera e di assistere da dietro le sbarre alla repressione. Non a caso i comunicati diffusi dal suo sito avvertono di non cedere alle provocazioni e di protestare con moderazione. Non più tardi di domenica anche il capo di stato maggiore delle forze armate, generale Gholam Ali Rashid, aveva avvertito di esser pronto a «usare ogni mezzo per debellare i complotti studiati per dividere la nazione».
In verità il rischio «divisione» minaccia anche pasdaran e militari. Interi reparti dei Guardiani della Rivoluzione e dell’esercito guidati da ufficiali poco disposti a sparare sulle folle per difendere il regime sarebbero pronti a disobbedire agli ordini della Suprema Guida Alì Khamenei e del presidente Mahmoud Ahmadinejad.
I segnali di frattura, seppur non ancora esplicita, emergono anche dal clamoroso comunicato con cui i Guardiani della Rivoluzione, l’organo Costituzionale incaricato di valutare i risultati elettorali, ammettono che in 50 distretti elettorali su 366 il numero delle schede contate supera di gran lunga quello dei votanti.

Nonostante quelle dichiarazioni, Abbasali Kadkhodai, portavoce del Consiglio dall’invidiabile faccia di bronzo continua a ripetere che non esistono assolutamente irregolarità e «non esiste la necessità di un nuovo conteggio». Ma la platealità di quei dati e di quelle ammissioni fa capire che il regime tentenna e che una buona parte dei suoi 12 Guardiani è poco disposto a mentire per coprire l’evidenza dei brogli.

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