Gabriele Villa
Chi è, in realtà, Giorgio Forattini? Un impunito fustigatore di costumi, che, a parte le querele che si è beccato dai soliti noti, non ha ancora trovato qualcuno che lo metta alla gogna una volta per tutte? O, forse, un poeta? O un disarmante e anche un po' patetico sognatore che si ostina a immaginare una realtà che oggigiorno è spazzata via dal popolo dell'happy hour e della play station? La domanda sorge spontanea, come direbbe qualche autorevole pensatore contemporaneo, sfogliando le 239 pagine di Regimen (Un anno nella giungla del potere, edito da Mondadori), l'ultimo di quella lunga lista di libri che lui, esperto di mascalzonate, in tanti anni di carriera, ha avuto la faccia tosta di mettere sul mercato. «Sono un rappresentante di commercio: vendo ogni giorno sui mercati la mia merce a chi vuole. Poi, alla sera, mi rinchiudo con un libro di poesie nel vuoto della notte. Al mattino riparto con nuova merce per vecchi mercati», scrive re Giorgio introducendo e forse autodedicandosi la sua nuova raccolta di vignette. E anche in questa pubblica confessione del suo privato, come in tutte le occasioni della sua vita, Forattini non dice il falso, perché rappresentante lo è stato. Veramente. Quando a Napoli faceva il piazzista di prodotti petroliferi, per diventarlo poi di una casa discografica e poi ancora di una ditta di elettrodomestici. Classe 1931, romano, diploma di maturità classica, Forattini ha vissuto e vive la sua vita per la strada, nella trincea del quotidiano.
Poco importa, in questa sede, ricordare che ha pubblicato la su prima vignetta nel 1973 su Panorama e l'anno dopo il suo primo libro Referendum Reverendum (poi ne sono usciti altri 38). E che, con questi libri, ha venduto fino a ieri (pensate quanto sono masochisti gli italiani che riescono a ridere guardandosi allo specchio) tre milioni di copie. Importa più trovare la riposta alla domanda di cui sopra. E la si trova, puntualmente, fermandosi a riflettere sulla pagine di Regimen.
Perché la risposta sulla vera identità di Forattini si trova, a parer nostro, proprio all'inizio di quella strada che ha cominciato a battere giovanissimo. Con il naso (è un altro del nostro club, cui il naso, appunto, non fa difetto) all'insù per osservare la gente e le situazioni con l'occhio di chi vuol davvero vedere. Per tradurre poi, su un foglio bianco, con la punta acuminata delle sue matite, ciò che davvero gli sta davanti. Da qui il Craxi con gli stivaloni di buona memoria, soppiantato dallo scheletro di Fassino di più recente adozione. E la gobba senatoriale di Andreotti, che passa trasversalmente tutti i suoi libri, schiacciata oggi dall'ingombrante, goffa, presenza del curato mortadelliano o del pinocchio che ha tradito tutte le sue promesse elettorali. Che sono solo due dei suoi modi di raccontare il Prodi odierno. Sapidi quadretti che i lettori del Giornale hanno potuto godersi in anteprima, che ritraggono, oltre al premier, anche i suoi vari prodi. Con gli slogan dei fulminanti fumetti, che accompagnano le vignette di Regimen ( come quella in cui presentano al curato il ministro Padoa... Schioppa e Prodi risponde: anch'io non mi sento troppo bene). E ancora l'interminabile e irriverente teoria degli sbianchettatori professionisti, ovvero gli ex comunisti al potere oggi, che re Giorgio si ostina a smascherare . «La sua capacità di individuare tempestivamente la notizia o il fatto o il personaggio del giorno, di interpretarli e di tradurli a caldo, con immediatezza e con essenzialità, riassume le caratteristiche di uno spirito libero, acuto e geniale»", si legge nella motivazione del Premio Hemingway di giornalismo, che gli hanno consegnato nel 2000.
Uno spirito libero, ma anche uno spirito serio , come emerge da un'altra motivazione quella con cui il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza, gli ha conferito due anni fa la civica benemerenza : «Perché, dimostrando una profonda e attenta conoscenza storica, ha reso una risonanza nazionale ai temi riguardanti Trieste e lo storico esodo dall'Istria, contribuendo a farli uscire dal silenzio che li aveva caratterizzati per molti anni». Portano la sua firma, è il caso di ricordarlo, quegli squarci di luce - definirle vignette sarebbe riduttivo -, che ha voluto aprire spesso sulla tragedia delle foibe. Ecco, dunque, le mille e una risposta sulla vera identità di Forattini.
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