Regione: corsi di formazione Una giungla senza sbocchi

Quattrocento ore per diventare tecnico per lo sviluppo delle fattorie sociali. Il doppio, 800 ore, per specializzarsi nella conduzione di navi mercantili. I corsi di formazione alla Regione Lazio sono un mistero. E come un giallo che si rispetti, la domanda di fondo è: cui prodest?
Due le premesse. Primo, le statistiche dicono che di norma questi corsi non trovano sbocco in un posto di lavoro. Che cosa spinge la Regione a pagare, con soldi suoi e dell’Unione Europea, onlus e associazioni per lezioni che non servono a niente? Secondo, sul sito della Regione alla voce «corsi di formazione» si trova tutto: bandi, scadenze, beneficiari, eccetera. Meno una cosa: i soldi. Quelli stanziati in complesso anno per anno, e soprattutto quelli erogati sui singoli bandi. A meno di non sapere esattamente dove cercare, il capitolo è un vero giallo. Ma gli interrogativi sono anche altri. Nell’elenco dei corsi finanziati dalla Regione, accanto a quelli di largo interesse (tecnico audiovisivo, marketing, ecc) ne spiccano altri decisamente fuori dal comune. In certi casi, addirittura stravaganti. Quello di «Tecnico superiore di arredo liturgico», ad esempio, concluso da poco, era riservato a 20 allievi. Obiettivo: formare un professionista che possa «progettare e realizzare suppellettili preziose per il culto», si legge nel bando. Durata del corso: 1200 ore, di cui 840 in aula e 360 di stage. Prospettive di lavoro remote. A girare la penisola, a piedi, magari si riuscirà a trovare dove rimettere a posto un altare in qualche chiesa di campagna. Ma è dura. Il sibillino corso di formazione dal titolo «D.I.A.N.A. Donne in Azione per una nuova accoglienza nella Tuscia», 300 ore, è rivolto invece a 18 allieve. Finalità: formare figure professionali nel settore turistico e ricettivo (B&B, ostelli, agriturismo). Tanti auguri.
Qualche interrogativo lo solleva pure il corso di «Conduzione di navi mercantili», 800 ore, per 20 allievi e 5 uditori. C’è poi quello sulla «Rete multifunzionale integrata per la promozione delle fattorie sociali», 400 ore, tenuto dalla Onlus Capodarco. Misterioso invece il corso di «Tecnico esperto nella produzione di biomolecole ottenute da lieviti». Ben 1200 ore. Che cosa insegneranno ai discepoli? Boh.
Alquanto machiavellico pure il corso di «Mediatore culturale», 400 ore, gestito dall’Arciconfraternita-Caritas di Roma, e quello di «Orientatore nel settore dell’immigrazione», 500 ore, dell’Associazione sviluppo formazione. Centinaia di ore, e poi? Di casi simili se ne trovano a decine. Non parliamo poi delle migliaia di corsi autorizzati dalla Regione, che, per quanto non finanziati, danno una patente di legittimità a situazioni imbarazzanti. Servono addirittura 400 ore, ad esempio, per diventare ludotecario. O esperti nella ricostruzione delle unghie. La trasparenza? Ecco, quella non ce n’è tantissima.
Ma il vero giallo restano i soldi. Il 29 luglio 2009 una determinazione regionale ha stanziato 16 milioni (biennio 2009-2010) per corsi di formazione anti-crisi riservati a cassintegrati e simili. Prima tranche di 220 milioni di qui al 2015. Una iniziativa in sè assolutamente legittima, lodevole, lo diciamo a scanso di equivoci.

Ma in dettaglio, poi, i milioni come si ripartiscono, a chi vanno? E da An-Pdl arriva l’ultima denuncia: «Gira voce - afferma il consigliere regionale Francesco Lollobrigida - che la Regione avrebbe affidato un corso di formazione del valore di 2 milioni a un sindacato a chiamata diretta. Senza bando. Stiamo cercando di capirci di più».

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