«Da Il resto di niente a El Alamein amo il cinema che racconta la storia»

Il Presidente preoccupato per «il momento di sofferenza: dobbiamo investire nella cultura»

Michele Anselmi

C’è un feeling speciale tra il presidente Ciampi e il mondo del cinema. Sarà perché, a differenza del predecessore Scalfaro, per nulla interessato al mezzo, volentieri disinformato e in anni lontani esposto a tentazioni censorie, l’attuale inquilino del Quirinale custodisce un’attenzione particolare nei confronti dei film, anzi delle «pellicole», come ama dire. Non si contano, tra film e fiction, le anteprime quirinalizie espressamente richieste da Ciampi e signora; in più di un’occasione il presidente s’è anche esposto sul piano estetico, plaudendo all’incontro tra riflessione storica (il suo pallino è il Risorgimento) e rielaborazione artistica. Risultato: da Il resto di niente a El Alamein, da Le cinque giornate di Milano a Cefalonia, il presidente ha sempre voluto marcare una calorosa predilezione per il lavoro creativo di registi, attori e sceneggiatori. Essendone ricambiato. Tanto da apparire, amabilmente incarnato da Arnoldo Foà, in un’onirica ma cruciale sequenza di La febbre di D’Alatri: laddove, uscendo in bicicletta dalla nebbia, con paterna saggezza convince il demotivato Fabio Volo a non restituire simbolicamente la carta d’identità.
Pure ieri mattina, alla consegna dei Premi De Sica, Ciampi non ha fatto mancare la propria voce. Strappando l’applauso con questa semplice confessione: «Vi sarete chiesti perché il presidente della Repubblica si sia così appassionato alla vita del mondo del cinema. Le ragioni sono due. La prima, molto immediata, semplice: il cinema mi piace. La seconda, più complessa e profonda: il nostro cinema è indissolubilmente legato all’identità moderna degli italiani». Insomma, gusto personale e prospettiva storica si fondono nel punto di vista di Ciampi, non senza qualche ulteriore, concreta, sottolineatura. Come quando, pur plaudendo all’incremento dell’italica quota di mercato (dal 20 al 23 per cento nei primi dieci mesi del 2005) nell’attuale «momento di sofferenza e di difficoltà», ammonisce: «Dobbiamo reagire. Investire sulla cultura, credere nella cultura, è una necessità per noi italiani. Se funziona il nostro cinema, il teatro, la musica, allora funziona meglio tutta la società italiana». Tradotto significa: il governo faccia tutto il possibile per reintegrare i 164 milioni di euro tagliati al Fus, il Fondo unico per lo spettacolo.
In questa cornice di affettuoso scambio, un solo neo. Risale al dicembre 2002, quando il patron dei Premi De Sica e dei David di Donatello, Gian Luigi Rondi, preferì non invitare al Quirinale l’allora leader girotondino Nanni Moretti. Forse ricorderete.

Due mesi prima, l’11 ottobre, il regista aveva partecipato alla fiaccolata contro la legge Cirami, fermatasi in largo Magnapaoli, a poche decine di metri dal Quirinale, rivolgendo un appello indiretto al Capo dello Stato: «Al Presidente della Repubblica è concesso ogni tanto dire dei no. È stato fatto nel recente passato e nello scorso decennio». Un gesto, si disse, poco apprezzato da Ciampi, nonostante la stima per il Moretti cineasta.

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