Retroscena Il segreto di Stato copre l’orrore

Il diavolo, si sa, si nasconde nei dettagli. E in Cina pure l’orrore. Le 1718 condanne a morte dell’anno scorso bastano da sole a far impressione, ma diventano terrificanti se vi si aggiungono le stime delle organizzazioni umanitarie secondo cui il numero dei condannati “effettivi” sarebbe tre volte superiore.
La discrepanza tra cadaveri “ufficiali” ed “effettivi” deriva, come ricorda Amnesty International, dal segreto di Stato che regola l’applicazione della pena capitale. Tre anni fa era anche peggio. Fino ad allora qualsiasi tribunale provinciale poteva - in base ad una legge anti-crimine del 1983 - comminare una sentenza di morte affidandone l’esecuzione all’esercito. La semplificazione delle procedure rendeva impossibile qualsiasi statistica e le organizzazioni per i diritti umani si limitavano a stimare in decine di migliaia le esecuzioni “effettive”. Soltanto dal 2007 le autorità impongono ai tribunali provinciali di sottoporre le sentenze di pena capitale alla ratifica delle Corte Suprema del Popolo.
La nuova procedura stenta comunque a venir applicata. La discrepanza tra cifre ufficiali e cifre reali emerge nell’aprile 2008 quando vengono diffusi i primi dati relativi alla “vigilanza” della Corte Suprema. Il risultato sembra incoraggiante perché le 470 condanne eseguite rappresentano il minimo storico. Ma per quello stesso anno gli osservatori di Dui Hua (Dialogo), una fondazione di San Francisco che vigila sulla violazione dei diritti umani in Cina, attribuiscono ai boia di Pechino tra le 5mila e le 6mila esecuzioni reali. Quelle stime vengono confermate anche dalla sezione britannica di Amnesty. «Secondo dati assai attendibili - spiega il direttore Allen Kate - Pechino manda a morte 22 prigionieri ogni giorno».
Questo scenario è reso più nefasto e inquietante dallo sterminato numero di reati per cui è ammessa la pena capitale e dal comprovato utilizzo degli organi dei condannati a morte negli ospedali specializzati in trapianti.
In Cina la legge prevede almeno una settantina di buone ragioni per finire sul patibolo. L’esemplare numero di reati sanzionabili con la morte emerge dalla consultazione del codice penale del 1997 che sancisce la pena di morte anche per corruzione e gioco d’azzardo. La vastità dei capi d’imputazione non garantisce però equità di giudizio. I funzionari di partito condannati per corruzione beneficiano spesso di una sospensione della sentenza, i malviventi di campagna incontrano il boia pochi giorni dopo la sentenza d’appello.
L’abisso dell’orrore lo si raggiunge nei furgoni della morte introdotti non per lenire le sofferenze dei condannati, ma per asportare gli organi vitali immediatamente dopo l’iniezione letale. La testimonianza di Paul Lee, un tecnico della metropolitana di Hong Kong colpito da tumore al fegato nel 2005 e ammesso al trapianto dietro versamento di 45mila dollari ad una clinica specializzata di Tianjin, conferma quei sospetti. «Quell’ospedale - spiega Lee - è in collegamento con molte prigioni, il mio è arrivato da un condannato e io gli sarò eternamente grato».
La gratitudine di Lee non cancella il fatto che gran parte degli organi vengono sottratti senza alcuna autorizzazione.

«Non ho mai visto una famiglia firmare l’autorizzazione al prelievo da un loro caro condannato a morte - dichiarava due anni fa Huang Peng, un ex funzionario del centro di detenzione numero 2 di Shenyang - e non ho mai visto un prigioniero offrire spontaneamente i propri organi».

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