"Casa di Montecarlo, Fini contribuì al riciclaggio per aiutare il cognato"

Casa di Montecarlo, le motivazioni della sentenza sbugiardano l'ex leader di An: "Gestì la vendita"

"Casa di Montecarlo, Fini contribuì al riciclaggio per aiutare il cognato"
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Gianfranco Fini ha contribuito al riciclaggio di denaro sporco con l'acquisto della casa di Montecarlo da parte del «cognato» Gianfranco Tulliani. L'ex presidente della Camera autorizzò nel 2008 la vendita per 330 mila euro dell'appartamento lasciato in eredità dalla contessa Annamaria Colleoni ad Alleanza Nazionale, «per le insistenze» della compagna Elisabetta Tulliani e del fratello, «nella consapevolezza dell'incongruità del prezzo rispetto al valore di mercato e a favore della società offshore dei congiunti».

Tutto provato, si legge nelle 97 pagine di motivazioni della sentenza con cui lo scorso 30 aprile i giudici della quarta sezione penale di Roma hanno condannato Fini a 2 anni e 8 mesi. La vicenda si concluse con una seconda vendita dell'immobile nel 2015 ma per un milione e 360mila dollari. Però, sottolinea il difensore dell'ex leader di An Francesco Caroleo Grimaldi, «il tribunale afferma a chiare note che nessun profitto è stato tratto da Fini da tutte queste operazioni finanziarie che non lo hanno minimamente riguardato». L'avvocato conferma che presenterà appello, con il collega Michele Sarno, contro la condanna in primo grado: «La sentenza di fatto assolve Fini su tutti i capi di imputazione e si limita, paradossalmente, a ricorrere al concetto del dolo eventuale, che tradotto altro non è che il ben poco apprezzabile non poteva non sapere. Abbiamo già dimostrato in primo grado che era vero l'esatto contrario, ossia che non poteva sapere nulla».

Per il tribunale, invece, l'ex presidente della Camera «fornì il proprio contributo nell'operazione di riciclaggio relativa ai trasferimenti di denaro finalizzati all'acquisto dell'appartamento di Montecarlo», mentre già prima di autorizzare la vendita, nonostante la decisione contraria assunta in precedenza dal partito, usando la «normale diligenza» avrebbe potuto sapere che Giancarlo Tulliani «era il vero acquirente». Quanto alla consapevolezza di Fini che il denaro utilizzato per l'acquisto provenisse dall'evasione tributaria del re delle slot machine Francesco Corallo, secondo i giudici presieduti da Roberta Palmisano, ne accettò «il rischio eventuale». Si legge nelle motivazioni: «È risultato con certezza che Fini nel 2008 si adoperò per introdurre il cognato in ambienti dai quali potesse trarre fonti di guadagno. Giancarlo Tulliani infatti era privo di un solido profilo professionale e le società che a lui facevano capo (Wind Rose srl in liquidazione, Wind Rose International srl in liquidazione, Giant Entertainment Group srl ni liquidazione, Absolute Television Media srl, Dandylion sr.), compresa la Wind Rose srl presieduta dal padre Sergio Tulliani, non erano più attive o erano state volontariamente liquidate». E «nello stesso arco di tempo» la terza carica dello Stato cedette alle pressioni di Giancarlo (latitante, condannato a 6 anni) ed Elisabetta (5 anni), come ha riconosciuto lui stesso. Decise di vendere l'appartamento di boulevard Princesse Charlotte 14, proprio perché il cognato «aveva un forte interesse nell'affare».

Risulta anche che, contrariamente a quanto aveva fatto in occasione dell'acquisizione dell'immobile, lasciando al senatore Pontone completa autonomia, in occasione della vendita Fini gestì personalmente le trattative fissando il prezzo in 300mila euro». Per questo, «deve rispondere di tale segmento di condotta del riciclaggio».

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