Il titolo del romanzo di Gonzalo Celorio, Tre belle cubane (Neri Pozza, pagg. 369, euro 18, traduzione di Silvia Sichel) indica anche un ballo cubano, un danzón, come lo è ad esempio la abanera. Il lettore non deve comunque lasciarsi fuorviare dallapparente esotismo del nome, poiché in realtà esso allude alla storia di tre donne, tre ragazze cubane più o meno belle, che il diplomatico messicano Miguel Celorio (il riferimento allautore è reale e non pretestuoso), una fatidica sera del lontano 1921 vede entrare nel cinema Tosca di Calzada de Jesús del Monte dellAvana. La maggiore è bellissima; la minore - ugualmente bella - è incerta e irrequieta, mentre la mediana, che non è né bella né irrequieta, ha gli occhi dolci, sereni e intelligenti: sarà lei a sposare il giovane Miguel.
Le storia delle tre ragazze - Rosita, Virginia e Ana María, madre e zie dellautore - forma una grande saga familiare con sullo sfondo i grandi avvenimenti politici che hanno segnato la storia dellisola a partire dagli anni Venti. A questo primo ciclo di eventi se ne aggiunge un altro, cronologicamente più vicino a noi, costituito dai numerosi viaggi a Cuba intrapresi a partire dal 1974 da Miguel Celorio; allinizio ammiratore di Fidel Castro e sostenitore della rivoluzione cubana («paradigma di speranze della mia generazione»), ma in seguito, dopo il clima persecutorio instaurato dal regime contro oppositori e dissidenti (in particolare contro intellettuali, religiosi e omosessuali), distante e critico, anche se sempre assertore dei valori sociali di giustizia.
Il racconto della vita delle tre figure femminili abbraccia due epoche diverse (prima e dopo lavvento castrista) e rappresenta la storia emblematica di un conflitto che ancora divide la società cubana: quella rimasta nellisola e laltra costretta allesilio. Il grande affresco generazionale - dove la dimensione autobiografica rende credibili gli episodi che filtrano dallesterno - segue naturalmente lordito delle vicende familiari delle «tre belle cubane», legate fra loro da stretti vincoli di parentela, ma anche separate da interessi e destini diversi. Rosita andrà a vivere a Miami, Virginia si rifugerà a Città del Messico, Ana María resterà allAvana: tre storie che illustrano e sovrappongono vicissitudini personali e aspetti della vita dellisola.
Particolare attenzione è riservata da Celorio alle figure dei grandi intellettuali cubani: Cabrera Infante, Reinaldo Arenas, e ancora Alejo Carpentier, la poetessa Dulce María Loynaz, Lezama Lima. Le loro evocazioni nascono dallinteresse del narratore per il mondo della cultura caraibica, ma si coglie tra le righe del racconto un disagio personale che, forse, nasce dal mancato giudizio sulla sorte riservata a questi e a tanti altri artisti colpiti dal regime, emarginati perché omosessuali o perché contrari alla nomenclatura. A proposito ci sembrano eloquenti le pagine dedicate da Celorio alla visita della casa di Lezama Lima nella vecchia Avana: una casa chiusa, senza alcuna indicazione o targa che ricordi il grande scrittore. Un silenzio complice, un oblio ingiustificato è calato nei confronti dellautore di Paradiso, la cui nota omosessualità continua a imbarazzare le autorità del regime.
Celorio osserva il contrasto tra lopulenza barocca della scrittura di Lezama Lima e la ristrettezza della sua casa.
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