Vorrei affrontare la polemica sui risultati elettorali con razionalità, responsabilità e rigore istituzionale. Non mi piacciono le telenovele basate sulle congetture come l'accusa di megacomplotto lanciata da Enrico Deaglio con l'opera buffa Uccidete la democrazia. Ho già scritto che il problema più grave nelle verifiche elettorali è la «dittatura della lentocrazia». Se tra quattro o cinque anni si appurassero irregolarità, la scoperta non servirebbe a nulla. Nei risultati del voto come nella giustizia, se si arriva a una giusta conclusione dopo che l'illegalità ha dominato per molto tempo, si alimenta la sfiducia nelle istituzioni e si deludono le aspettative di chi crede nel diritto.
Ora vorrei discutere qui le contraddizioni insite nella decisione della Giunta delle elezioni del Senato di verificare circa 700.000 schede bianche, nulle e contestate di 7 regioni: Lombardia, Toscana, Lazio, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. La prima falsa interpretazione è procedurale. La Giunta ha il potere di «disporre la revisione delle schede bianche, nulle e contestate» in base a specifici ricorsi e su richiesta dei relatori dei singoli collegi. Perciò è bizzarro il «criterio politico» dell'assortimento dei 7 casi prescelti sulla base di un mix di alcune regioni di centrosinistra, di altre di centrodestra e di altre ancora «in bilico». Francamente si tratta di una bestemmia istituzionale, tanto più che per almeno 4 regioni la verifica sarà solo declamatoria perché non potrà produrre alcun effetto.
L'errore madornale riguarda appunto il grado di efficacia della strada imboccata. A cosa serve, se non a logorare energie parlamentari, a dilapidare danaro pubblico e ad alimentare vuoti proclami propagandistici procedere alla verifica dei risultati della Lombardia in cui esiste uno scarto di 841mila voti su un totale di 5 milioni 843mila voti a vantaggio del centrodestra, o della Toscana con 524mila voti di scarto su 2 milioni 323mila voti a favore del centrosinistra o, ancora, della Sicilia con una differenza di 437mila voti su 2 milioni 495mila voti per il centrodestra? Si consideri che se, per assurdo, anche tutte le schede bianche, nulle e contestate risultassero taroccate, in pratica nelle tre regioni non cambierebbe nulla. Il dettato costituzionale (artt. 65 e 66 Cost.) è così ridotto a una burletta.
Altra cosa, ben più significativa, è il controllo di regioni in cui i risultati possono essere alterati con il relativo mutamento degli equilibri parlamentari. Si tratta in primo luogo della Campania, il cui lo scarto tra le due coalizioni è pari 0,53% su 2 milioni 998mila voti a favore dell'Unione, e del Lazio con uno scarto dell'1,12% su 3 milioni 303mila voti per l'Unione. Meno probabile, invece, potrebbe essere l'effetto della riconta sulla Puglia con uno scarto del 4% su 2 milioni 220mila voti per l'Unione, e sulla Calabria con una differenza del 14,3% su 985mila voti pro Unione.
Ciò detto, mi pare saggia l'altra decisione circa un eventuale verifica delle schede valide con il metodo del campione laddove vi siano segni di irregolarità. Si pensi che le leggi americane prevedono la riconta obbligatoria dei voti quando nei singoli Stati v'è uno scarto inferiore all'1% tra i due candidati, mentre negli altri casi si procede sempre per campione. Forse sarebbe opportuno introdurre qualcosa del genere anche in Italia, uscendo fuori dai labirinti delle contestazioni. La verità, però, è che siamo un Paese barocco in cui ha libero corso la demagogia. A tale proposito, occorrerebbe fare una riflessione, realistica e operativa, sui risultati della Camera, proprio perché lo scarto globale è talmente esiguo che le verifiche potrebbero effettivamente produrre un drastico mutamento politico.
Invece di inconcludenti riconte generali, razionalità e responsabilità vorrebbero che si procedesse anche nel caso della Camera con un modellino statistico che inizia con piccoli campioni verificabili in pochissimo tempo, e si allarga mano a mano che si riscontrano irregolarità. Ma tutto ciò è troppo razionale e istituzionale per convincere i contendenti di entrambi gli schieramenti.
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