RIFORMISMO AD ALTO RISCHIO

Anche se Romano Prodi non ne vuole sentir parlare, anche se Piero Fassino preferisce ridurla ad un semplice «cambio di passo», la «fase 2» sta diventando il nuovo grande rebus dell'Unione. Per chi non ha ancora rinunciato ad un orizzonte riformista è una necessità vitale, dopo la voragine politica aperta dalla Finanziaria e dopo la costante penalizzazione di Quercia e Margherita segnalata dai sondaggi, nel quadro generale dell'arretramento del centrosinistra. Per l'area massimalista è, al contrario, un incubo, equivale al rischio della rottura con il proprio insediamento sociale a cui è stata promessa una crescente tutela e che ha avuto comunque motivo - vedi le assemblee di Mirafiori, ma non solo - di essere diffidente.
Il simbolo di questa divaricazione è rappresentato dalle pensioni. Si tratta di un problema eterno. Non c'è stato governo, nella storia del bipolarismo italiano, che non abbia dovuto affrontarlo. Non c'è stato un solo anno in cui le istituzioni europee ed internazionali non abbiano richiamato, anche quando sono state fatte le riforme, ad un alleggerimento della pressione previdenziale, come in tutta Europa. Non c'è stata una sola volta che l'alleanza di sinistra non si sia divisa. Memorabile resta la disavventura che capitò un po' meno di dieci anni fa a Massimo D'Alema, presidente del Consiglio, su cui venne scaricata la responsabilità di una sconfitta elettorale dell'Ulivo solo perché aveva realisticamente osservato che la riforma Dini era perfetta, anche se i suoi tempi lunghi la rendevano inutile.
Oggi quella storia continua, senza alcuna variazione. Per una parte dell'Unione le pensioni sono un tabù. Per un'altra parte sono, all'opposto, la conferma dell'identità riformista, anche se comunque i cambiamenti ipotizzati appaiono come un passo indietro rispetto alla riforma Maroni. Cosa c'è da aspettarsi? Le prime avvisaglie del conflitto hanno preceduto perfino l'archiviazione dell'iter parlamentare della Finanziaria. Questo da un lato annuncia l'asprezza della partita che si è aperta e, dall'altro, spiega l'insistenza con cui Prodi cerca di alzare una cortina fumogena, ricorrendo alla pratica dell'esorcismo. Come è successo in questi mesi, durante i quali la maggioranza è riuscita a mantenere il suo punto di equilibrio.
Ma è possibile ripetere il gioco? Ds e Margherita sono i veri grandi sconfitti di una manovra che ha incrinato il rapporto del governo con il suo elettorato più moderato e con l'Italia che produce. Sono paradossalmente artefici e vittime di un disastro che avrebbero potuto prevedere ed evitare. Ora hanno bisogno di un successo, di dimostrare di non essere eternamente rappresentati dall'impostazione punitiva prodiana né di essere subalterni a Bertinotti, a Diliberto e a Pecoraro Scanio. Hanno la necessità vitale - dalla semplice lettura dei sondaggi si passerà in primavera alla conta dei voti alle amministrative - di dimostrare che la maggioranza non è solo antagonismo e massimalismo. Devono incassare qualcosa, non tanto per convinzione, quanto per sopravvivere. La loro azione è accompagnata però da una domanda: sono ancora in grado di condurre una battaglia politica all'interno dell'Unione? Questo è il punto.
Fassino e Rutelli si mostrano decisi.

Ma questo conta poco, dopo le prove che hanno dato da aprile ad oggi e dopo le timide punzecchiature nei confronti di Prodi e di Padoa-Schioppa. Sono comunque ad un bivio: cambiare passo e andare al braccio di ferro o alzare definitivamente bandiera bianca, con la resa definitiva del riformismo italiano.

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