«Ripartiamo dal patto col governo Berlusconi»

Angeletti: i vecchi accordi sulla liquidazione vanno mantenuti

Antonio Signorini

da Roma

Di accordo governo-Confindustria sulla riforma del Tfr, magari basato su soglie che facciano salve le piccole aziende dal trasferimento delle quote di liquidazione all’Inps, non ne vuole nemmeno sentire parlare. Perché - sostiene il segretario generale della Uil Luigi Angeletti - «si perde di vista il core business». Cioè i lavoratori, che sono proprietari delle quote delle liquidazioni e rischiano di essere danneggiati in modo irreversibile dal fallimento della previdenza integrativa. Tutta la discussione - avverte - deve ripartire da lì. Dagli accordi sottoscritti con il precedente governo «che sono ancora validi». E quindi dal principio del silenzio assenso: «Le quote di Tfr che i lavoratori non vogliono lasciare in azienda devono andare alla previdenza integrativa». Una logica che ora il governo «vuole capovolgere», ma che il sindacato difenderà, anche a costo di fare saltare il «memorandum» sulle pensioni.
Per la verità il governo sembra più impegnato sul fronte Confindustria...
«È vero. Sta cercando un’intesa, che non vedo molto facile, con gli industriali. E loro sono preoccupati perché si vedono togliere le quote di Tfr e non più sulla base di un accordo, come era stato fatto con la riforma per il lancio della previdenza integrativa. Un disegno che si può condividere o meno, ma che è importante ed è l’unico in grado di modernizzare il sistema finanziario italiano, rendendolo più vicino a quello anglosassone dove i fondi pensione hanno un peso enorme».
Quindi sul Tfr Confindustria ha gli stessi interessi dei sindacati?
«Le imprese più lungimiranti hanno interesse a un sistema finanziario che funzioni».
La tesi del governo è che il trasferimento di parte del Tfr all’Inps non pregiudicherà le pensioni integrative. Non ci crede?
«L’intervento del governo ha stravolto il principio del silenzio assenso, secondo il quale i lavoratori che non scelgono di lasciare le quote di Tfr alle aziende vanno ad alimentare i fondi».
Loro dicono di no...
«Lo dicono le cifre della Finanziaria. Noi abbiamo visto tabelline che prevedono una specie di tripartizione dei 18-19 miliardi di flusso previsto dal Tfr: un terzo ai fondi, un terzo all’Inps e un terzo all’azienda. Questa proporzione non è compatibile con il silenzio assenso, che avrebbe portato ai fondi più della metà di quei 18 miliardi. Formalmente l’accordo che prevedeva il silenzio-assenso non è superato. Se qualcuno lo avesse messo in discussione la nostra reazione sarebbe stata immediata».
Per il momento si parla solo di accordi per salvare le piccole imprese, non di misure per tutelare la previdenza integrativa...
«È bene non avventurarsi in discussioni che non portano da nessuna parte. Per il momento bisogna stabilire che i vecchi patti vanno mantenuti. Ed è bene che si sappia che se si sceglieranno strade diverse per noi non avrà più senso il protocollo con il governo sulla modifica del sistema previdenziale. Le due cose sono legate. La previdenza integrativa serve a evitare che si creino in futuro milioni di nuovi poveri. Le prestazioni della previdenza pubblica scenderanno e per questo non si può che fare crescere i fondi privati. Per contro, drenare quei soldi verso l’Inps metterà in crisi la riforma previdenziale».
Su questi temi lei ha la stessa posizione della Cisl, ma la Cgil sembra meno pessimista. Alla fine è stata accettata la sua idea di una segreteria unitaria?
«Penso che non avessero ben capito gli effetti di queste novità sui fondi pensioni. Sabato ci vedremo.

Sono ottimista, penso che troveremo un’unica posizione».
È possibile un «avviso comune» anche con gli industriali?
«Sarebbe utile. E sarebbe loro interesse. Se proprio devono perdere le quote di Tfr preferiscono darle all’Inps o ai fondi pensione?».

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