Agnelli, politici e sindacati italiani, conteranno sempre di meno in Fiat. La famiglia torinese ieri ha scelto, non a caso, gli Stati Uniti per rendere ufficiale la divisione in due del gruppo. Da una parte le auto, la piccola 500 insieme con Maserati e Ferrari. E dall’altra camion e macchine agricole. Per il momento gli Agnelli resteranno con il 30 per cento azionisti di maggioranza relativa di entrambe le società, che saranno quotate in Borsa. La logica che ha portato a questa rivoluzione è semplice. Il giovane John Elkann, che rappresenta la famiglia ed è primo azionista, ha deciso di allentare la presa sul comparto auto. Sergio Marchionne, l’amministratore del gruppo torinese, ha detto in più occasioni che per vendere la sua merce occorre crescere: diventare più grandi e più internazionali. E ha capito da tempo che i margini si stanno facendo sempre più sottili e la concorrenza sempre più dura. L’unica prospettiva è dunque quella di fondersi con altre aziende in giro per il mondo e conquistare per questa via maggiori quote di mercato e nuove tecnologie. L’americana Chrysler è stata già in parte acquisita. Ma non basta. Marchionne aveva pensato all’Opel, ma non se ne è fatto più nulla. L’impressione è che il momento magico per fare shopping senza aprire il portafoglio sia finito. La morale è che gli Agnelli, ben consigliati da Marchionne, hanno deciso di fare un passo indietro nel controllo delle auto, per costruire una Fiat sempre più grande in termini dimensionali. Evidentemente il manager è riuscito a convincerli del fatto che non c’erano altre strade: o la lenta diluizione nel controllo o la vendita sic et simpliciter dell’intero gruppo. In questa ultima evenienza con un ritorno di immagine (e di quattrini) negativo. La strada è dunque tracciata. La società automobilistica, in prospettiva, sarà sempre meno Agnelli e sempre più internazionale. Se si dovesse arrivare alla fusione con Chrysler, la real casa torinese si troverebbe come soci di peso i sindacati e lo stato americano. Il progetto di Marchionne è quello di trovare un altro partner: un terzo commensale da far sedere intorno al tavolo di comando. Fiat auto sarà sempre meno italiana. Marchionne usa già oggi poca diplomazia nel perseguire la maggiore efficienza possibile nel suo gruppo. Cambia i suoi manager di punta alla velocità della luce, e «strizza» le fabbriche senza tanti giri di parole.
C’è da credere che con il passare del tempo e con l’allontanamento da Torino delle auto, il processo sarà ancora più netto. Alla fine della storia non solo gli Agnelli perderanno peso nella Fiat auto, ma anche sindacati e politici italiani. Se ne dovranno fare una ragione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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