ROBERT-HOUDIN L’illusione è una scienza

Nella prima metà dell’800 rivoluzionò il mondo della magia: niente orientalismi e tanta tecnologia

È stato il più grande illusionista di tutti i tempi. Ma, soprattutto, è stato il primo illusionista dei tempi moderni. Jean-Eugène Robert-Houdin, nato due secoli fa, il 7 dicembre 1805, a Blois, nella Loira, aveva sgombrato il campo da tutto il ciarpame esotico di cui si ammantavano i maghi dell’epoca. Niente palandrane orientali, niente palcoscenici ricoperti di tappeti persiani, come fossero l’harem del sultano. Una scena spoglia, un semplice frac. E una suggestione che attingeva alle ultime scoperte della scienza, ancora miracolistiche per molti spettatori del XIX secolo: l’elettricità, il magnetismo, le lanterne magiche. Un illusionismo che già sconfina nelle meraviglie del progresso. Non a caso, il teatro parigino dove Robert-Houdin teneva quasi ogni giorno le sue soirées fantastiques, affollate dal bel mondo dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, sarà poi rilevato da Georges Mélies, l’inventore del cinematografo. E il talento di Robert-Houdin sarà sfruttato anche in chiave politico-imperialistica: il governo francese lo spedirà infatti nell’Algeria in rivolta per dimostrare la superiorità della magia occidentale rispetto a quella dei santoni islamici.
A riportarci sulle tracce di Robert-Houdin è ora una biografia scritta dall’italo-francese Chantal Rossati per un piccolo editore (L’officina del libro: www.officinadellibro.com), con una prefazione di Zeev Gourarier, direttore del Musée de l’Homme di Parigi: Il signore del miraggio. Come scrive la Rossati, «i maghi moderni, volenti o nolenti, sono tutti figli di Robert-Houdin». A partire dal celebre mago Harry Houdini (1874-1926), l’ungherese Erich Weiss, che scelse il suo nome d’arte proprio in omaggio al predecessore francese. L’inizio della storia di Houdin, raccontata da lui stesso nelle Confidences d’un prestidigitateur, ha il sapore di una favola.
Figlio di un orologiaio, Robert-Houdin eredita dal padre la passione per i meccanismi e i congegni. Si diletta a costruire piccoli marchingegni, animati da un topo o da un canarino. Impara a fare il giocoliere, istruito da monsieur Maous, il pédicure di Blois. Siamo in un’epoca in cui l’illusionismo è ancora guardato con sospetto. La creazione di automi, attività in cui Robert-Houdin si rivelerà insuperabile, aveva fruttato solo pochi anni prima una condanna per stregoneria al meccanico svizzero Pierre Jacquet-Droz. Mentre in Italia Giuseppe Balsamo, il conte di Cagliostro, era morto non da molto, nella prigione in cui era stato cacciato nel 1789. I prestidigitatori, allora, erano spesso italiani. Il più famoso era il torinese Giovanni Bartolomeo Bosco, morto nel 1863, che il poeta Giuseppe Gioacchino Belli immortalò come «Turandò l’incantatore». Mentre non era italiano il mago Torrini, che si chiamava in realtà Edmond de Grisy, e girava la Francia col suo carrozzone.
Torrini si prese come discepolo il giovane Robert-Houdin, perché gli ricordava il figlio che lui stesso aveva ucciso in un esperimento finito male: in uno spettacolo, aveva caricato la pistola con cui doveva sparargli con la pallottola sbagliata. Torrini sfidava rivali come il mago Castelli, uno che faceva affiggere manifesti di questo tono: «Ajourd’hui Le signor Castelli, premier prestidigitateur des deux hémisphères, mangera un homme vivant».
Per lungo tempo l’occupazione principale di Robert-Houdin restò comunque la costruzione di automi. La scienza degli automi partiva dalla più remota antichità, con le macchine mirabolanti costruite da Erone di Alessandria, agli albori dell’era cristiana. Robert-Houdin si inserì in questa tradizione. Il suo automa più famoso era lo Scrivano-Disegnatore, capace di mutare anche l’espressione del volto mentre si concentrava sulla scrittura. Fu presentato all’esposizione parigina del 1844, e il re Luigi Filippo se ne entusiasmò quando scrisse, a comando, sotto gli occhi del sovrano, il numero esatto degli abitanti di Parigi, 908.964. L’automa fu poi acquistato da Barnum, il fondatore del famoso circo, ma andò distrutto in un incendio nel 1865. Altro automa creato da Robert-Houdin era il Trapezista. Lui stesso lo descrive così: «All’inizio la figura si trova seduta su un trapezio ed è in grado di rispondere con cenni del capo alle domande che gli vengono poste da vari spettatori. Al mio ordine il trapezista inizia a volteggiare nell’aria come un vero acrobata fermandosi solo per fumarsi un po’ la pipa. Al termine del numero scende da solo dalla barra e mi raggiunge in un abbraccio».
Dopo un lungo apprendistato, Robert-Houdin si sente finalmente pronto ad affrontare il pubblico come illusionista. Il suo teatro apre il 3 luglio 1845. Luigi Filippo, ormai suo ammiratore, lo invita a corte. Qui il mago stupisce il re con il numero dei fazzoletti: fa scomparire sei fazzoletti sostituendoli con una tortorella e poi li fa ricomparire nel posto stabilito dal re un attimo prima, una fioriera del giardino, dentro uno scrigno arrugginito. L’approvazione del re porta a teatro tutta l’aristocrazia e la buona società parigina. E vale a Robert-Houdin l’invito a una tournée in Inghilterra, dove si esibisce davanti alla regina Vittoria.
Nel 1856 viene convocato dal governo. L’Ufficio politico di Algeri lo informa che è in corso una rivolta in Kabilia. Il popolo segue i marabutti considerandoli dotati di poteri straordinari. Robert-Houdin è invitato ad andare in Algeria per dimostrare la superiorità della magia francese su quella indigena. La sfida è notevole: laggiù gli stregoni della setta degli Aissaoua si conficcano pugnali nelle guance, mangiano scorpioni vivi, masticano vetro, camminano sui ferri roventi. Ma Robert-Houdin li sbaraglierà con la sua più moderna magia. Gira per i villaggi, si esibisce nel numero dell’Uomo invulnerabile, che consiste nel fermare una pallottola con i denti (lo stesso numero in cui aveva perso la vita il figlio del suo amico Torrini). Ripete uno dei suoi trucchi preferiti, quello della scatola intrasportabile: un baule che contiene sbarre di ferro, collegato a un magnete nascosto, che neppure i più forzuti tra gli algerini riescono a sollevare.
I califfi gli consegnano un diploma in cui lo celebrano come «la meraviglia del secolo»: «Mai i nostri occhi avevano subito il fascino di tali prodigi. Vano è il tentativo di innalzargli degne lodi, dobbiamo chinare il capo e rendergli omaggio finché la pioggia benefica feconderà la terra, finché la luna rischiarerà le notti». Sferzante il commento di Charles Baudelaire nei suoi Diari intimi: «Spettava a una società incredula inviare Robert-Houdin dagli Arabi per stornarli dai miracoli».
Robert-Houdin morirà nel 1871. Nella sua villa, vicino a Blois, aveva costruito un parco delle meraviglie: «Un ritiro stregato, ultimo regno delle fate» come scrive un cronista dell’epoca. Prima meraviglia, per quell’epoca, il cancello elettrico.

E poi una serie di grotte popolate da automi: eremiti, diavoletti, e una pietra tombale dove si sostituiscono via via l’immagine di un gufo, di una fanciulla vestita di bianco, di un mazzo di fiori. Magie, ancora una volta, di sapore tecnologico. E solo quando il suo erede Georges Mélies, al teatro Robert-Houdin di Parigi, inizierà a proiettare i primi film, l’opera del mago di Blois potrà dirsi compiuta.

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