I nuovi poveri in fila per gli aiuti anche nei quartieri residenziali

Lavoratori autonomi o in nero, anziani, ragazze madri: ecco l'identikit dei nuovi poveri assistiti dai volontari dell'Anps, l'Associazione Nazionale della Polizia di Stato, che offre supporto a sempre più famiglie in difficoltà a causa del lockdown

I nuovi poveri in fila per gli aiuti anche nei quartieri residenziali

"Anche i ricchi piangono", era il titolo di una vecchia telenovela. S.G., fiorista del quartiere Monteverde, forse non si poteva definire ricco, ma con il suo lavoro riusciva a pagare un affitto di mille euro al mese in un quartiere residenziale, e a fare la spesa per sua moglie e i suoi tre bambini. Ora la crisi portata dalla pandemia ha aggredito anche lui, costringendolo a mettersi in fila per un pacco di pasta.

Si stima che l’emergenza sanitaria in corso abbia determinato un incremento del "rischio povertà" di 8 punti percentuali. È uno studio pubblicato nei giorni scorsi sul sito Lavoce.info a fotografare questa triste realtà, fatta di un numero sempre più alto di famiglie che a causa del lockdown imposto dall’epidemia di Covid-19 hanno visto cambiare la propria disponibilità economica. Si tratta, secondo un rapporto di Save the Children, del 77,6 per cento dei nuclei familiari italiani. Una situazione che, nel 63,9% dei casi, ha fatto ridurre anche"la spesa per l'acquisto di beni alimentari".

La Capitale non fa eccezione. A testimoniarlo sono i volontari dell’Anps, l’Associazione Nazionale della Polizia di Stato, che in questi giorni di emergenza si sta occupando di consegnare beni di prima necessità alle persone più bisognose. "Siamo un’associazione di volontariato e protezione civile quindi siamo stati attivati dal Coc, il Centro Operativo Comunale, per il ‘pronto farmaco’, il servizio di consegna gratuita dei farmaci a domicilio - ci spiega al telefono Carmine De Santis, responsabile dei volontari del Gruppo Roma 1 – ma ad un certo punto abbiamo iniziato a ricevere anche telefonate da famiglie che non avevano più la possibilità economica per fare la spesa".

"Sono quelle persone – continua – che magari prima si arrangiavano con qualche lavoretto in nero, e che ora si sono ritrovate senza nulla in tasca". È questo l’identikit dei nuovi poveri, lavoratori irregolari, ma anche autonomi con la partita iva, che con la chiusura della propria attività hanno visto i propri introiti polverizzarsi. "Prima di rivolgermi all’Anps, ho chiesto anche ad un’altra associazione, ma mi hanno detto che avrebbero messo il mio nome in lista perché c'erano moltissime persone come me in fila per un pacco, e che quindi avrei dovuto aspettare", ci racconta S., che grazie all’aiuto dei volontari dell'Anps è riuscito ad andare avanti diverse settimane.

"Ho fatto richiesta anche per i 600 ma non sono mai arrivati, forse – ipotizza– perché devo pagare le cartelle esattoriali". "Eppure – si sfoga – io i contributi all’Inps li ho sempre versati". "Riceviamo in media dalle 70 alle 80 chiamate al giorno, tra le più disperate c’è stata quella di una mamma di San Lorenzo che per tre giorni non ha potuto dare il latte ai suoi due bambini", racconta Andrea, uno degli attivisti. "Faceva le pulizie in nero – continua – e ora non sa come mantenersi".

Andrea, la ragazza che sta al centralino descrive il peggioramento registrato nelle ultime settimane: "Se prima a chiamare erano gli anziani con la pensione minima, le ragazze madri, o gli abitanti delle case popolari che si sostenevano con i lavoretti in nero, ora a chiederci aiuto sono padri di famiglia in attesa della cassa integrazione, la cosiddetta classe media che ora non sa come dare da mangiare ai propri figli". Ed è così che i pacchi vengono recapitati non solo in periferia, ma anche nelle zone residenziali, come quella di Piazza Bologna, o del quartiere Flaminio.

"Finora abbiamo consegnato 700 scatoloni pieni di prodotti alimentari a 500 famiglie in difficoltà", spiega Andrea, che ha iniziato con il volontariato in parrocchia e poi, dopo aver prestato servizio durante il terremoto dell’Aquila e di Amatrice, ha deciso di mettersi in gioco anche in questa sfida, quella della lotta agli effetti collaterali del virus. "Con il nostro servizio – aggiunge - togliamo anche terreno alla criminalità organizzata, che, soprattutto nelle borgate, come Tor Bella Monaca o San Basilio, cerca di infiltrarsi e di fare leva sulle difficoltà delle persone".

Negli ultimi giorni, però, le donazioni iniziano a scarseggiare. "Fino a metà aprile in magazzino c’erano trenta scatoloni, da questa settimana si sono dimezzati, ora ce ne sono un terzo – racconta Andrea – segno che anche chi dona adesso ha problemi".

Nonostante questo si va avanti, superando anche la paura del rischio contagio, a cui è esposto chi lavora in prima linea. "È l’orgoglio di aiutare chi è in difficoltà – assicura De Santis – che ci spinge a fare quello che facciamo, e ci aiuta a sconfiggere timori e preoccupazioni".

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