"Romney presidente" Lo dice la profezia

Il guru dei mormoni lo aveva predetto nel 1843: uno di noi salirà alla Casa Bianca e salverà la Costituzione

"Romney presidente" Lo dice la profezia

New York - I mormoni la chiamano «la profezia del cavallo bianco». L’aveva annunciata il profeta John Smith: in un sogno il cavallo bianco descritto nell’Apocalisse di Giovanni, in groppa al quale Gesù avrebbe scacciato la bestia alla fine dei tempi, si era trasformato in un mormone. Che avrebbe salvato gli Stati Uniti.
Era il 6 maggio del 1843 e Smith aveva invitato a casa sua due seguaci, Edwin Rushton and Theodore Turley, annunciando che un giorno la Costituzione sarebbe stata ridotta «a un filo di seta». Quel giorno, disse il profeta, un mormone avrebbe salvato il Paese.

E adesso molti credono che quel misterioso eroe sia Mitt Romney che martedì si è abbattuto come un ciclone sulla Florida.
L’ex governatore del Massachusetts ha strappato a Newt Gingrich il 46% dei voti del Sunshine State e si è rilanciato come candidato da battere per la nomination repubblicana.
Newt Gingrich però non molla e annuncia che «ormai è una corsa a due».

Tra un cattolico e un mormone. Una diversità religiosa che Romney finora è riuscito a minimizzare, ma che molti temono possa diventare il suo tallone d’Achille quando il team di Obama scaverà a fondo nei lati più mistici della sua candidatura.
La vittoria di Romney in Florida, primo stato nelle primarie a rappresentare un microcosmo della nazione, è difatti dovuta alla convinzione dei votanti che questo businessman sia il candidato migliore per risanarae un’economia malata.

I suo spin doctor sono bravissimi nel minimizzare la sua fede e nel sottolineare invece il talento economico di Romney, che spesso ricorda di essersi candidato per salvare l’economia. Ma dietro alla sua candidatura si affacciano anche le centenarie ambizioni politiche dei mormoni. Romney discende direttamente dai 12 fondatori della chiesa. Ne aveva parlato nell’autobiografia pubblicata durante la sua prima corsa alla Casa Bianca, nel 2008 e intitolata «Set our people free». Sua madre, alla nascita, l’aveva definito «figlio di un miracolo» dopo che i medici avevano predetto che questo figlio non avrebbe mai visto la luce. Nel giorno del suo battesimo, anche il suo padrino Willard Marriott, proprietario dell’omonima catena di alberghi e mormone più ricco degli Usa, aveva predetto un futuro miracoloso per questo bimbo cresciuto in un mondo in cui politica e fede si erano sempre mescolate. Romney in questa sua seconda campagna presidenziale non ne parla, ma lo stesso Smith si era candidato alla presidenza nel 1844 come «comandante dell’armata di Dio», prima di essere assassinato.

Un precedente che, dicono i suoi consiglieri, preoccupa la moglie e i figli del candidato, mentre lui pensa solo alla Casa Bianca: «Da ragazzino ricevetti la mia benedizione patriarcale, che mi venne direttamente da Gesù, e che mi spinse a dedicare la mia vita alla politica e al governo», ha scritto Romney nell’autobiografia.
Dopotutto suo padre George era diventato governatore del Michigan quando Mitt aveva 15 anni. Due anni dopo, finito il liceo, come tutti i giovani mormoni era stato mandato dalla famiglia all’estero per fare il missionario.

Un «dovere» dei giovani seguaci del «vangelo restaurato» che gli ha certamente regalato le basi per le sue campagne politiche poiché dopo pochi mesi era stato nominato a capo di duemila missionari in Francia.


Tornato negli States, Romney aveva poi partecipato alla campagna elettorale di sua madre Lenore, che si era candidata come senatore del Michigan.

Che sia lui il cavallo bianco del vecchio profeta? «I leader del mormonismo non danno alcun peso a questa predizione», ha dichiarato Romney durante un’intervista. «È pura fantasia».

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