Parla Vittorio Emanuele di Savoia, messo in
carcere nel 2006 dal pm Henry John Woodcock con l’accusa di corruzione e
assolto dopo quattro anni: «Mi sbatterono in una Punto e
mi portarono in cella. Le prove? Solo un anno e mezzo di
intercettazioni. Mi hanno rilasciato con tante scuse, ma mi hanno
distrutto l’immagine e voglio chiedere i danni. Dovevo consegnare una campana».
Una campana?
«Una campana per una chiesetta apollaiata sul lago di Como. Invece...».
Invece, principe?
«Invece su lungolago di Varenna vengo avvicinato da due tizi vestiti in borghese, e pure bene».
E che le dicono?
«“Ci segua, lei è in pericolo”».
In pericolo?
«In effetti da quel momento in poi qualcosa ho rischiato».
Vittorio Emanuele di Savoia è sulla spiaggia incantata di Cavallo in Corsica. La linea è disturbata; per un attimo si sente solo il vento, poi la voce del principe ritorna forte: «I poliziotti mi hanno infilato in una Punto».
L’hanno ammanettata?
«No, quello no».
Il cognome Savoia vorrà pur dire qualcosa.
«Il cognome Savoia attira molti invidiosi, menagrami e articoli vari. Io ero in un buon momento, ero stato dal Papa, qualcuno ha pensato bene di distruggermi».
Torniamo sulla Punto.
«Un poliziotto si addormenta, gli altri tacciono, io mi trovo in arresto per una sfilza di reati».
Secondo Henry John Woodcock lei sarebbe un corruttore.
«Non ho molta dimestichezza con i soldi. Dovrei andare a scuola per imparare a corrompere».
La prostituzione?
«Gli amici mi hanno preso in giro: “Mai ha tutte queste frequentazioni? Perché non ce l’hai detto prima?”».
Principe, non la fa troppo facile?
«Woodcock e la procura di Potenza mi hanno intercettato e hanno intercettato personaggi come Ugo Bonazza per un anno e mezzo. Ma lei ha presente cosa vuol dire intercettare Bonazza per un anno e mezzo?».
Bonazza parla come una mitragliatrice.
«E quando parla non si capisce niente. Parlavamo, progettavamo, fantasticavamo, immaginavamo il nostro futuro».
Secondo Woodcock commettevate dei reati.
«Ma quali reati?».
Per la Procura di Potenza Bonazza, un piccolo imprenditore veneto, era il cervello dell’associazione a delinquere.
«Bonazza è un ottimo amico. Abbiamo fatto insieme la pesca al traino. Ma i record li ho fatti da solo: ho preso un tonno da 160 chili».
Principesco. Come principesco è stato anche il suo trattamento in cella. Con lei quel 16 giugno 2006 hanno arrestato pure il suo segretario, Nicolino. È vero che in cella Nicolino le faceva il letto?
«Ma si figuri, era estate, faceva caldo».
Woodcock?
«È arrivato all’interrogatorio in ritardo, è stato tre minuti e se n’è andato».
Che idea s’è fatto di Woodock?
«Nessuna».
Non si sottovaluti.
«Non c’entra con Woodcock, però mi viene in mente un proverbio».
Quale?
«Bello bello, ma con niente nel cervello».
E non c’entra?
«No, non c’entra».
Quando l’hanno messa ai domiciliari si è sentito sollevato?
«Mica tanto. Io non ho case in Italia, forse non posso nemmeno averle. È la tredicesima».
La tredicesima disposizione transitoria in fondo alla Costituzione?
«La tredicesima».
Poveretto. E come se l’è cavata?
«Sono andato da amici ai Parioli. Poi all’Argentario».
Una vita difficile.
«Non faccia lo spiritoso. Pensi che poi mi hanno liberato ma mi hanno dato il divieto di espatriare».
Un’umiliazione?
«Ma scusi, prima mi mandano in esilio, poi mi dicono che non posso lasciare l’Italia».
Che ha fatto?
«Ho preso un appartamentino in corso Vittorio Emanuele a Milano: i nomi di famiglia aiutano a non dimenticare l’indirizzo. Ma a parte le battute, questa vicenda mi ha molto leso».
Lesa maestà?
«Lei non sa che danno mi ha provocato l’indagine di Potenza in Italia e soprattutto all’estero. Si leggevano queste storie incredibili: il principe che intrallazza, il principe dentro una banda di delinquenti, il principe che va con le zoccole».
A proposito, nelle intercettazioni lei parla di zoccole a ripetizione.
«Sono frammenti cuciti insieme. Non sono mai stato con una prostituta, io sono sempre con mia moglie. Siamo inseparabili, come la Legione straniera».
In cella lei viene immortalato in un video mentre spiega come ha sparato quella notte in Corsica.
«Fandonie. Nella gamba di quel ragazzo sfortunato fu trovato un proiettile di P38, io impugnavo una carabina. Non sono chiacchiere, ma fatti. Sono stato assolto in Francia».
L’inchiesta spezzatino è stata divisa in diversi tronconi. L’assoluzione definitiva, dopo le prime archiviazioni, è arrivata a settembre scorso. Ha festeggiato?
«Un bicchierino di champagne con mia moglie e mio figlio in un hotel di Parigi. Per fortuna ho risalito la china».
Il danno è superato?
«All’inizio mi hanno buttato fuori da molti club. Poi, col tempo, mi hanno richiamato. Sono stato al matrimonio di Alberto di Montecarlo: abbiamo festeggiato per tre giorni. E pure al funerale di Otto d’Asburgo. Ero ben piazzato».
Otto, il primo Asburgo che non è stato imperatore come lei è il primo Savoia che non ha fatto il re.
«Sì, abbiamo avuto destini simili».
Però al matrimonio di William e Kate non s’è visto.
«Sa, fra i Savoia e i Windsor non ci sono grandi rapporti. È dai tempi della guerra che è così».
Adesso ha voltato pagina?
«Gli inglesi hanno un termine così geniale: sorry».
Sorry?
«Ti dicono sorry, ci scusi, e arrivederci. Eh no».
No?
«Sorry un c...».
Le hanno portato via l’Italia intera, ora lei potrebbe raggranellare qualche migliaio di euro per l’ingiusta detenzione subita. Farà causa alla repubblica?
«Ci penserò. Io vorrei anche sapere quanto è costata questa indagine. Comunque, mi tutelerò: è una questione di principio. Anzi, di principe».
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