Russia e Georgia Una guerra con 1.400 morti

È una guerra, vera. Forse finirà in poche ore lasciando tutto come prima oppure inciderà profondamente negli equilibri euroasiatici. Impossibile fare previsioni quando si parla di Caucaso, ma la crisi è seria e non può lasciare indifferente l’Occidente, perché ad affrontarsi sono gli eserciti di una potenza ritrovata, la Russia, e di un Paese legato a doppio filo con Washington, la Georgia. E perché a provocarla sono stati indirettamente gli Stati Uniti e l’Unione europea.
La questione dell’Ossezia del Sud non è certo recente. Risale addirittura al 1991. Quando l’Urss si spaccò i territori osseti vennero divisi in due, il nord restò alla Russia, il sud venne inglobato nella Georgia. Una terra piccolissima, grande due volte il Lussemburgo, e abitata da 70mila persone, quasi tutte russe, che rifiutarono di piegarsi all’autorità di Tbilisi. E imbracciarono i fucili. Il Cremlino intervenne e nel 1992 impose un cessate il fuoco, senza però soluzione diplomatica: da allora l’Ossezia è di fatto autonoma in una Georgia che rifiuta di concedere la secessione.
Lo status quo dura fino al 2004, quando i georgiani eleggono presidente Mikhail Saakshvili, l’uomo di Washington. Per il Cremlino è un’umiliazione; perché la Georgia è una Repubblica ex sovietica e rappresenta uno snodo strategico cruciale. Putin non si rassegna e inizia a fare pressioni. Blocca i commerci tra i due Paesi, apre e chiude i rifornimenti di gas e petrolio, ma soprattutto gioca la carta dell’Ossezia del Sud, che, improvvisamente si risveglia e nel 2006 proclama l’indipendenza, che la comunità internazionale non riconosce. Per due anni la tensione resta alta, ma sotto controllo. Poi nel febbraio 2008 il Kosovo si stacca dalla Serbia con la benedizione dell’Occidente. E il quadro cambia. Putin protesta veementemente per «l’amputazione della Serbia»; l’Occidente, però, lo snobba e lui rilancia annunciando la reciprocità. Se il mondo si arroga il diritto di strappare il Kosovo, Mosca si riserva di fare lo stesso con l’Ossezia del Sud e con l’altra repubblica ribelle georgiana, l’Abkhazia.
Altri due mesi e al vertice di Bucarest, la Nato, pur evitando di avviare la procedura d’adesione, annuncia che in futuro la Georgia e l’Ucraina, l’altro grande Stato uscito dall’orbita russa, potranno diventare membri dell’Alleanza atlantica. Un’eventualità inaccettabile per il Cremlino, che infatti a luglio riaccende la tensione nell’Ossezia del Sud. I caccia militari russi violano lo spazio aereo georgiano, mentre Mosca e Tbilisi si accusano reciprocamente di intensificare le operazioni di guerra.
Il segnale è forte. Il vulcanico Saakshvili teme che Mosca stia per attuare la minaccia ventilata in febbraio. Cerca sostegno a Washington, ma la Casa Bianca è indebolita dalla corsa presidenziale. E allora aspetta il momento propizio, il giorno di apertura delle Olimpiadi, mentre Putin, ora primo ministro, e gli altri grandi del pianeta sono a Pechino per la cerimonia di inaugurazione. Gioca d’anticipo confidando nella distrazione del mondo e speculando sull’inesperienza e l’apparente mitezza del nuovo presidente Medvedev. E giovedì notte mette i soldati georgiani nelle condizioni di lanciare l’attacco in Ossezia del Sud.
E ora tutti sono in imbarazzo. L’America è costretta a difendere l’integrità territoriale della Georgia, che però qualche mese fa ha negato alla Serbia, e vede il suo alleato Saakshvili perdere credibilità e influenza.

Mosca deve decidere se avventurarsi in una nuova guerra in un territorio impervio come il Caucaso, con il pericolo di infiammare tutta l’area, o se trattare con Tbilisi, col rischio di apparire arrendevole. Intanto rimbombano le cannonate, alle porte di un’Europa ancora una volta sorpresa dagli eventi.
Marcello Foahttp://blog.ilgiornale.it/foa/

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