Secondo recenti statistiche in Italia a soffrirne sono circa 6 milioni di persone. Il termine deriva dal latino"angěre", ovvero "stringere". L'ansia è una complessa combinazione di emozioni che includono paura, preoccupazione, apprensione e che quasi sempre si traducono in manifestazioni fisiche quali palpitazioni, nausea, dispnea e dolori al petto. Questi segni somatici sono l'espressione di un'iperattività del sistema nervoso centrale e, dunque, della reazione messa in atto dal sistema simpatico nota come "attacco e fuga". La problematica può esistere come disturbo cerebrale primario o può essere associata ad altre patologie, incluse quelle di tipo psichiatrico (depressione, schizofrenia). Essa si distingue dalla paura vera e propria per il fatto di essere vaga, aspecifica e in quanto deriva da un conflitto interiore.
È bene distinguere l'ansia fisiologica da quella patologica. La prima è uno stato di tensione psicologica e fisica che provoca un'attivazione generale di tutte le risorse del soggetto, in modo tale da consentire l'attuazione di comportamenti utili all'adattamento. Questa tipologia è diretta contro un reale stimolo, spesso ben conosciuto. La seconda, invece, disturba anche gravemente il funzionamento psichico e determina una limitazione delle capacità di adattamento dell'individuo. Può essere vaga o rivolta verso specifici oggetti e/o eventi. Chi ne soffre prova sentimenti di incertezza riguardo il futuro. Spesso queste sensazioni sono così intense e spiacevoli da indurre il paziente a mettere in atto strategie di evitamento di situazioni ritenute potenzialmente pericolose o di controllo mediante la messa in atto di rituali di vario genere.
Esistono fattori di rischio ereditari, biologici e inconsci in grado di favorire la comparsa della problematica. Alcuni studi genetici hanno scoperto che in circa il 50% dei casi gli individui con disturbi ansiogeni hanno almeno un familiare affetto da una patologia analoga. Secondo altre indagini scientifiche condotte sul cervello umano, l'ansia sarebbe l'esito di un'alterazione della quantità di neurotrasmettitori, come ad esempio una produzione eccessiva di noradrenalina o, al contrario, una ridotta secrezione di serotonia e di GABA. Per Freud il disturbo deriverebbe da un conflitto inconscio radicato nell'infanzia o che può svilupparsi nella vita adulta. Lo stesso viene così allontanato dalla coscienza mediante meccanismi di difesa e relegato nell'inconscio.
L'adolescenza, si sa, è un periodo di transizione molto delicato e spesso chi lo attraversa è alle prese con difficili momenti di ansia o depressione. Se tuttavia queste condizioni diventano stabili, è facile che possano tradursi in un maggiore rischio di infarto durante la vita adulta. A lanciare l'allarme una ricerca pubblicata dal Congresso ESC 2020 della Società Europea di Cardiologia. Protagonisti dello studio 238.013 uomini nati tra il 1952 e il 1956 sottoposti a esami approfonditi a 18-19 anni per la valutazione dell'idoneità al servizio militare obbligatorio e seguiti fino all'età di 58 anni attraverso cartelle cliniche ospedaliere. A 34.503 soggetti sono state diagnosticate ansia o depressione durante la tarda adolescenza.
Dall'indagine scientifica è emerso che tali disturbi erano associati alla probabilità del 20% maggiore di avere un infarto del miocardio entro la mezza età. Tale connubio è in parte spiegato da un'inferiore resilienza allo stress e da una minore attività fisica negli adolescenti che soffrono di queste problematiche mentali.
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