La morte di dj Fabo ha riportato in primo piano il dibattito sull’eutanasia in Italia, mentre in Parlamento si discute la proposta di legge sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento. Tra i più convinti sostenitori dell’introduzione dell’eutanasia nel nostro ordinamento c’è però anche chi, negli anni, ha cambiato idea ed è passato dall’altra parte della barricata. Come Sylvie Menard, medico e ricercatrice oncologica, che per quarantacinque anni ha lavorato all’Istituto Nazionale dei Tumori. Allieva di Umberto Veronesi, per anni è stata favorevole al testamento biologico e all’eutanasia. Poi, però, è arrivata la sua malattia. Un tumore incurabile al midollo osseo, che le ha cambiato la vita, modificando totalmente la sua prospettiva e portandola a battersi contro l’eutanasia.
Oncologa, ricercatrice ed ex allieva del professor Veronesi, per anni è stata favorevole all'eutanasia. Poi è arrivata la malattia. Cosa è cambiato?
La malattia cambia la nostra visione della vita. La morte non è più virtuale ma diventa reale. Non ci sentiamo più immortali e siamo obbligati a fermarci e a riflettere. Mi sono resa conto che la vita non è infinita e per questo è diventata più bella, perché sono consapevole che ogni giorno potrebbe essere l'ultimo. Ora, pur di guadagnare un giorno di vita, sono pronta a fare qualsiasi terapia. Per morire c'è sempre tempo.
Quindi oggi, da laica, dice no all’eutanasia. Perché?
Ho fatto il ‘68 sulle barricate a Parigi. Il nostro motto era “proibito proibire”. Per me la libertà è una cosa importantissima. Ma la mia libertà non deve togliere la libertà agli altri. In uno Stato dove l'eutanasia è permessa, sarà difficile, per chi è contrario e vuole vivere, continuare a chiedere assistenza e cure senza farsi condizionare dalla società circostante. Lo sforzo che deve fare il sistema sanitario per fornire assistenza ai malati rischia di rallentare, favorendo la scelta del paziente di morire, qualora l'assistenza fosse ritenuta insufficiente.
Recentemente ha detto che sarebbe un errore assumere come vincolanti le Disposizioni Anticipate di Trattamento sottoscritte da sani…
Da sani, ci si sente immortali. La morte è un problema degli altri. Nessuno vuole immaginarsi come sarebbe la propria vita in condizioni di grave disabilità. Ci fa paura, e se vediamo disabili gravi, spesso pensiamo che non avremmo il coraggio di vivere come loro. Ma, al contrario, ci sono molti disabili che accettano la loro condizione e che la vivono con grande coraggio. Ho conosciuto malati gravi felici di vivere. Le stesse persone che, da sane, non avrebbero mai pensato di poter vivere così. Ho conosciuto tanti malati che inizialmente rifiutavano le terapie, ma che poi le hanno accettate, appena hanno accettato la loro malattia. Il fattore “tempo” è importantissimo. Il testamento biologico avrebbe senso se si sapesse a priori come ci sentiremo da malati, o se non fossimo più in grado di intendere e di volere. Rischia di essere controproducente nel caso in cui qualche erede in attesa della casa della mamma faccia valere queste disposizioni anche in caso di un po' di demenza senile.
Ci sono stati casi in cui chi ha sottoscritto il testamento biologico ci ha ripensato?
C’è stato il caso emblematico, riportato dai giornali, di un malato terminale che aveva disposto di non voler essere rianimato in caso di bisogno. Una notte il paziente ha suonato ripetutamente il campanello delle urgenze per chiamare il medico rianimatore. Quando il medico è arrivato, però, il paziente aveva già perso conoscenza e l'infermiere, nel rispetto del suo testamento biologico, ha impedito al dottore di rianimarlo. Chi ha ragione in questo caso? Le volontà scritte anticipatamente dal paziente hanno prevalso sulla effettiva volontà del paziente. Tra i casi più frequenti che mi sono trovata davanti ci sono poi quelli dell’iniziale rifiuto delle terapie. Nella maggioranza dei casi, il paziente cambia idea e accetta il trattamento.
Cosa pensa del caso di dj Fabo?
È un caso tragico. Lui era disperato. Ma è compito dello Stato aiutare le persone disperate a morire? Non è solo la malattia a condurci alla disperazione. Anche un fallimento amoroso o economico possono portare al suicido. Ce ne sono ben 12mila l'anno. Ma a nessuno viene in mente di aiutare queste persone a morire senza soffrire, casomai li aiutiamo a vivere. Vorrei che non venisse mai utilizzato il concetto di “morte degna”, come se ci fosse una vita “non degna” di essere vissuta perché si è malati.
Quindi secondo lei l'Italia non dovrebbe garantire ai malati il diritto di poter decidere di mettere fine alla propria esistenza?
Io credo che la cosa più importante sia che lo Stato fornisca la massima assistenza ai malati gravi. Un’indagine fatta in Svizzera sui pazienti che hanno chiesto l'eutanasia mostra che, più della malattia stessa, è la solitudine il fattore preponderante che spinge il paziente a chiedere di morire. Oggi, con la terapia del dolore, l'eventuale ricorso alla sedazione più o meno profonda, il problema di morire nel dolore non esiste più.
Come giudica la proposta di legge sul testamento biologico attualmente in discussione in Parlamento?
Penso che creerà più problemi di quelli che vuole risolvere. Innanzitutto, il testamento biologico sarà valido solo per le persone non più in grado di intendere e di volere. Ad essere coinvolte saranno quindi anche tutte le persone con demenza senile e malattia di Alzheimer, un milione circa, in Italia.
Quante di queste rischieranno di morire per una semplice influenza, solo perché hanno sottoscritto il testamento biologico pensando ai malati in stato vegetativo? Le informazioni di cui dispongono le persone per scrivere le disposizioni anticipate di trattamento sono approssimative, se non false: non esiste il “coma permanente”, non c'è “dolore” in caso di incoscienza o per lo meno non è valutabile. Il caso di dj Fabo, infine, non sarebbe stato comunque contemplato in questa proposta di legge.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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