Le malattie autoimmuni sono particolari patologie che esordiscono nel momento in cui si verifica un malfunzionamento del sistema immunitario. Per la precisione, le cellule e le glicoproteine che lo costituiscono, aggrediscono lo stesso organismo riconoscendolo come nemico.
Numerosi sono questi disturbi: diabete di tipo 1, artrite reumatoide, morbo di Crohn, sclerodermia, sclerosi multipla. Le diagnosi in tutto il mondo stanno aumentando, con un percentuale annuale che varia dal 3% al 9%. Solo nel Regno Unito ne soffrono almeno 4 milioni di individui e recentemente si è assistito ad un incremento dei casi di malattie infiammatorie intestinali in Medio Oriente e in Asia orientale.
Importanti sono gli sforzi di ricerca internazionali volti a contrastare questa tendenza, non ultima l'iniziativa presso il Francis Crick Institute di Londra. Qui due scienziati di fama mondiale, James Lee e Carola Vinuesa, hanno istituito gruppi di studio separati per cercare di individuare le precise cause delle malattie autoimmuni e il perché della loro diffusione in Paesi insospettabili. Lee ha dichiarato a The Guardian che la genetica umana non è cambiata negli ultimi decenni. Dunque è importante focalizzare l'attenzione sulla realtà esterna, inclusa la dieta. In particolare, sotto la lente di ingrandimento, è finito il fast food.
Secondo gli studiosi, un'alimentazione ricca di fast food è carente di alcuni elementi importanti, come le fibre, e questa carenza può alterare il microbioma intestinale. Questi cambiamenti, a loro volta, sono in grado di innescare le malattie autoimmuni. Gli scienziati, tuttavia, sottolineano che l'avvento di queste patologie è principalmente legato a una certa suscettibilità genetica e che quindi non dipende esclusivamente dalla tipologia di dieta adottata. L'intento di Lee e di Vinuesa è quello di capire quali sono i mecanismi genetici che rendono alcuni soggetti più vulnerabili. Tale proposito è reso possibile dallo sviluppo di tecniche che consentono di individuare piccole differenze di Dna tra un gran numero di individui.
«Quando ho iniziato a fare ricerca - ha affermato Lee - erano note circa una mezza dozzina di varianti di Dna coinvolte nell'innesco di malattie infiammatorie intestinali. Ora ne conosciamo più di 250».
Ha poi aggiunto: «Abbiamo molte nuove terapie potenzialmente utili che vengono sviluppate continuamente, ma non sappiamo a quali pazienti somministrarle perché adesso ci rendiamo conto che non sappiamo con esattezza di quale versione della patologia soffrono. Questo è un obiettivo chiave per la ricerca autoimmune. Dobbiamo imparare a stratificare e a raggruppare i pazienti in modo da poter offrire loro la giusta cura».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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