Sla, identificato possibile bersaglio terapeutico

I risultati dello studio, condotto da ricercatori dell'Irccs ospedale San Raffaele, sono stati pubblicati sulla rivista "Nature Communication"

Sla, identificato possibile bersaglio terapeutico

È uno dei disturbi neurodegenerativi più diffusi con un'incidenza annuale pari a 1,9 casi ogni 100mila individui. Pur potendo manifestarsi in qualsiasi periodo della vita, colpisce prevalentemente i soggetti di età compresa tra i 50 e i 75 anni. La Sla (Sclerosi laterale amiotrofica), nota anche come morbo di Gehrig o malattia dei motoneuroni, è una patologia degenerativa del sistema nervoso centrale che provoca una perdita di controllo progressiva delle attività muscolari più importanti. In particolare il disturbo prende di mira i motoneuroni, cellule nervose che garantiscono funzioni come respirare, deglutire, parlare, camminare e impugnare gli oggetti. Si tratta di una condizione estremamente debilitante e il suo esito è drammatico.

Non si conosce con esattezza la causa della Sla, esistono tuttavia fattori di rischio genetici e ambientali in grado di favorirne la comparsa. In passato alcune ricerche hanno sottolineato che in alcune famiglie la malattia era ricorrente. Si è quindi ipotizzato che all'origine della stessa potesse esserci una mutazione genetica ereditaria. Studi successivi non solo hanno confermato questo pensiero, ma hanno anche scoperto diversi geni responsabili, tra cui SOD1 e C9ORF72. Indagini parallele hanno, invece, evidenziato che la patologia in determinati pazienti dipendeva da mutazioni genetiche acquisite. Alla luce di ciò si distingue una forma familiare e una forma acquisita o sporadica. Tra i fattori ambientali sono inclusi: attività fisica particolarmente intensa, fumo di sigaretta, esposizione ad agenti patogeni o a sostanze tossiche, dieta e traumi alla testa.

I sintomi della Sla, frutto dello stato di atrofia, agli esordi interessano i muscoli che controllano i movimenti delle mani e degli arti superiori. Successivamente i segni clinici si diffondono in maniera graduale su tutto il corpo. Essi comprendono: difficoltà a camminare, senso di debolezza alle gambe, ai piedi, alle anche, alle spalle e alle braccia, disartria, disfagia, dolore neuropatico. Ancora tremori alle braccia, crampi muscolari ricorrenti, difficoltà a mantenere la testa alta e una postura corretta, problematiche respiratorie. Altre manifestazioni includono: labilità emotiva caratterizzata da pianti o risate senza motivo, tendenza a sbadigliare in assenza di un reale stato di stanchezza, scarso controllo della vescica, dei muscoli intestinali lisci e dei muscoli oculari.

Un gruppo di ricercatori dell'Irccs ospedale San Raffaele, in collaborazione con l'Università degli Studi di Milano e con l'Istituto di biofisica del Cnr, hanno scoperto un nuovo potenziale bersaglio terapeutico per il trattamento della Sla. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista "Nature Communication". Gli scienziati hanno osservato in colture cellulari di motoneuroni e in modelli sperimentali della malattia una riduzione del complesso molecolare del Retromer. Si tratta di un meccanismo che media il trasporto intracellulare delle proteine che stanno per essere riciclate o distrutte e che già da diverso tempo è stato associato al Parkinson e all'Alzheimer.

L'equipe ha poi sviluppato una serie di molecole capaci di stabilizzare questo complesso molecolare, riducendo in maniera efficace nei modelli sperimentali il processo degenerativo dei motoneuroni. In questo modo la progressione della patologia è ridotta.

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