Un vaccino anti Covid ad ampio spettro? Una possibilità non remota

Ad aprire le porte a questa nuova prospettiva, utile per combattere anche le varianti diffuse in varie aree del mondo, sono stati i ricercatori dell'Ospedale generale del Massachusetts guidati da Gaurav Gaiha

Un vaccino anti Covid ad ampio spettro? Una possibilità non remota

I ricercatori dell'Ospedale generale del Massachusetts, guidati da Gaurav Gaiha, utilizzando un metodo sviluppato per l'HIV hanno identificato bersagli di vaccini a cellule T stabili nel coronavirus. Questi bersagli, noti come epitopi altamente collegati in rete, sono molto probabilmente stabili in diverse varianti del virus. Lo studio, pubblicato su"Cell", apre la strada a un vaccino a cellule T Covid ad ampio spettro.

Gaurav Gaiha studia da sempre l'HIV, uno dei patogeni a più rapida mutazione conosciuti dall'umanità. La maggior parte dei virus, nel tempo, sviluppa mutazioni o cambiamenti nel codice genetico. La giusta mutazione può consentire agli stessi di sfuggire alla risposta immunitaria modificando gli epitopi. Si tratta di pezzi virali che il sistema immunitario utilizza per riconoscere il patogeno come una minaccia.

Al fine di combattere l'alto tasso di mutazione dell'HIV, Gaiha ha messo a punto un approccio noto come analisi di rete basata sulla struttura. Con questo metodo è possibile identificare i pezzi virali che sono vincolati o limitati dalla mutazione. I cambiamenti negli epitopi vincolati alla mutazione sono rari poiché possono far perdere al virus la sua capacità di infettare e di replicarsi.

Quando è iniziata la pandemia, Gaiha ha riconosciuto l'opportunità di applicare i principi dell'analisi di rete basata sulla struttura dell'HIV a SARS-CoV-2. Il team ha così identificato epitopi Covid legati a mutazioni in grado di essere riconosciute dalle cellule T. In prospettiva, dunque, questi epitopi potrebbero essere utilizzati in un vaccino a cellule T ad ampio spettro, utile anche contro altri coronavirus simili alla SARS.

Gli epitopi altamente interconnessi in un virus funzionano come travi di supporto, collegandosi a molte altre parti del patogeno. Le mutazioni negli stessi possono mettere a rischio la capacità del virus di effettuare il processo di replicazione e, dunque, di sopravvivere. Spesso questi epitopi sono identici o quasi tra diverse varianti virali e persino tra patogeni strettamente correlati nella stessa famiglia. Gli scienziati, dopo aver individuato e analizzato 311 epitopi, sono giunti alla conclusione che erano presenti in grandi quantità e potevano essere riconosciuti dalla stragrande maggioranza dei sistemi immunitari. 53 epitopi rappresentano un potenziale bersaglio per un vaccino a cellule T ampiamente protettivo.

Inoltre, la metà dei partecipanti guariti da Covid aveva epitopi in grado di indurre una reazione immunitaria e, quindi, di renderli candidati promettenti per l'uso nei vaccini. «Sebbene gli attuali vaccini forniscano una protezione contro il Covid - conclude Gaiha -non è chiaro se continueranno a funzionare poiché circolano varianti sempre più pericolose.

Questo studio, tuttavia, mostra che potrebbe essere possibile sviluppare un vaccino a cellule T ad ampio spettro capace di proteggere dalle diverse varianti (anche quella Delta) e persino di estendere tale protezione ai futuri coronavirus».

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