Il salvagente della verità

Giampaolo Pansa, spirito libero e leale, da sempre dichiaratamente di sinistra, sull'Espresso di questa settimana ha dato un prezioso suggerimento alla Quercia: «C'è un'arma» ha scritto «che può depotenziare l'offensiva del Cav sull'Unipol e dintorni. Quest'arma ce l'hanno in mano i capi Ds, Piero Fassino e Massimo D'Alema per primi: dire tutta la verità sulla scalata alla Bnl e sui rapporti con i due manager che l'hanno ideata e attuata, Gianni Consorte e Ivano Sacchetti. A tutt'oggi, nessuno del vertice diessino si è deciso a raccontarla per intero».
Pansa non fa un appello generico, ma spiega: «Prima di tutto è lampante che mancano molti tasselli... Infatti non conosciamo il testo di molte intercettazioni sul telefono di Consorte. Per restare agli interlocutori diessini, i colloqui di Fassino con il capo dell'Unipol sarebbero ben diciassette: ne è stata pubblicata una e ne rimangono altre sedici. Poi ci sono i colloqui tra Consorte e D'Alema: ce lo ha detto lo stesso presidente della Quercia. Ci sono le telefonate di Nicola Latorre, collaboratore di D'Alema. Infine quelle di Ugo Sposetti, il tesoriere dei Ds: forse sono più dell'unica conosciuta».
Proponendo di rendere pubblico «questo fiume di parole» Pansa non fa certo una provocazione berlusconiana. Al contrario, il suo è il suggerimento accorato che un autorevole opinionista rivolge alla sua parte per togliere a Berlusconi un'arma polemica molto potente in campagna elettorale, per fare finalmente chiarezza. Avrebbero qualcosa da temere Fassino, D'Alema e compagni dalla pubblicazione dei testi di queste telefonate? Sicuramente no. Hanno detto e ripetuto che si sono comportati in modo impeccabile e io personalmente credo alle loro dichiarazioni. Ma proprio per questo dovrebbero essere loro stessi a chiedere che vengano rese note quelle telefonate.
A dire la verità già l'estate scorsa il segretario Fassino aveva lanciato proprio questa sfida, a viso aperto, senza nulla temere: «Vengano resi noti i testi delle telefonate, così tutti ne conosceranno il contenuto». Dopo qualche tempo, il 2 gennaio scorso, il Giornale pubblicò lo stralcio di una sua telefonata a Consorte, quella famosa dove il leader Ds pronunciava le parole «...allora siamo padroni di una banca?». Sono scoppiate roventi polemiche, si è messo sotto tiro il Giornale e oggi i Ds lanciano pesanti accuse sostenendo di sentirsi spiati. Anzi, il 21 gennaio scorso in una intervista all'Unità il senatore Ds Calvi denuncia l'esistenza di «strani dischetti» che potrebbero essere «usati» dice l'Unità «per inquinare la campagna elettorale e danneggiare l'opposizione». Spiega Calvi: «Si tratta di telefonate mai trascritte che quindi non sono nei fascicoli dei magistrati», la qual cosa significa, spiega il senatore, «che non si può verificare se si tratta di intercettazioni manipolate o addirittura inventate».
Capisco bene le preoccupazioni di Calvi e le condivido. Ma a maggior ragione l'unico modo per evitare questi «veleni», che potrebbero inquinare la campagna elettorale, è chiedere che sia messo tutto e subito alla luce del sole. Proprio come aveva invitato a fare Fassino mesi fa: «Vengano resi noti i testi delle telefonate, così tutti ne conosceranno il contenuto». Non c'è altro modo che questo per fugare veleni e sospetti. E siccome la Quercia non ha nulla da temere dalla verità, dovrebbe essere proprio questo partito a esigere la pubblicazione di questi testi. Ne ha il diritto e il dovere. È giusto che siano fugati subito e totalmente tutti i veleni e i sospetti.

Dunque che chiedano loro stessi di pubblicare quelle telefonate, che chiedano la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità. Sarà tutto chiaro e la campagna elettorale potrà svolgersi serenamente, lontano da ombre e timori.
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